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ASSETTO URBANISTICO DELLA COSTA DI FANO, di Massimo La...

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Elenco ferrovie italiane abbandonate

Proposta di pista ciclopedonale da Fano a Fermignano lungo la ferrovia metaurense


Proposta di pista ciclopedonale
da Fano a Fermignano lungo la ferrovia metaurense
Questo itineraio da percorrere a piedi o in bici è per il momento solo ipotetico a causa del degrado del sedime della linea ferroviara non più attiva dal 1986; l'abbandono ha causato una serie di problemi che rendono percorribili solo alcune piccole parti del tragitto che unisce la costa all'entroterra.
L'evidente attuale degrado è stato causato soprattutto dalle mancate decisioni sul destino della stuttura che ha di fronte due alternative: ripristino della funzione ferroviaria o realizzazione di una pista ciclopedonale.
Al di là di cosa fare in futuro, una cosa dovrebbe unire coloro che direttamente o indirettamente se ne preoccupano: salvaguardare l’integrità (ora non più garantita) di un corridoio lungo circa 50 km che unisce costa ed entroterra.
A confermare il rischio di perdita definitiva di questa importante struttura riportiamo alcune immagini di un servizio fotografico realizzato tra dicembre 2006 e gennaio 2007, che documenta la situazione mediamente ogni 100 metri circa.
Questi in sintesi i principali problemi rilevati:

- la progressiva urbanizzazione del territorio ha fortemente eroso gli spazi lungo la linea ferrata che oramai corre molto spesso a stretto contatto con le abitazioni, con evidenti problemi di sicurezza in caso di passaggio del treno;
- una vegetazione spontanea molto folta ha inghiottito una buona parte del percorso; alcuni tratti sono tenuti sgombri grazie all'uso di sostanze chimiche o al taglio della vegetazione; quest'ultimo tipo di intervento rischia però di aggravare i danni alla massicciata perchè viene stimolata la capacità vegetativa delle piante; normalmente, lungo le linee ferrate attive, vengono utilizzate sostanze che inibiscono la stessa nascita della vegetazione anche perché una sua eventuale eradicazione (che potrebbe sembrare risolutiva del problema in particolare nel caso di alberi e arbusti di una certa mole) oltre ad essere molto complessa, non garantirebbe affatto il risultato;
- ad eccezione delle stazioni di Fermignano e Urbino, tutte le altre sono fatiscenti o adibite ad usi non ferroviari;
- all'inizio degli anni 2000 è stata completata la vendita di quasi tutte le case al servizio della ferrovia poste lungo la linea;
- le strutture in cemento armato mostrano evidentissimi segni di degrado;
- in località Lucrezia di Cartoceto una rete metallica alta circa 2 metri sbarra i binari in via Pilone;
- in altre località, a documentare il chiaro disinteresse dei pubblici amministratori nei confronti della linea ferroviaria, proprio sopra i binari sono state ricavate postazioni per cassonetti dei rifiuti e tabelloni pubblicitari; soprattutto, tutti gli attraversamenti sono stati asfaltati per facilitare il transito dei mezzi su gomma sui binari;
- non esistono più o sono inservibili strutture di segnalazione, passaggi a livello, garitte, pali metallici, ecc;
- si trovano un po' dappertutto buche anche profonde, traversine bruciate, casupole, recinti, pollai e addirittura una pedana stabile a servizio di un bar (in località Canavaccio); per non parlare di detriti e rifiuti abbandonati; da segnalare in particolare numerosi sgrottamenti della massicciata, dovuti anche ai continui attraversamenti pedonali; in questi punti probabilmente i binari non sopporterebbero il peso del treno;
- dal maggio 2011 risultano sbarrate da cancelli metallici le gallerie Gulino e Le Conce e ristrutturati i parapetti del cavalcavia 1 di Urbino sulla SS 73 bis di Bocca Trabaria; inoltre, segnali apposti da RFI nei pressi di Urbino vietano il passaggio pedonale lungo i binari in direzione Fermignano.

Non mancano ovviamente ampi tratti ancora in buone condizioni ma nel complesso si può dire che il degrado è continuo ed il ritorno del treno su questa struttura, senza interventi radicali e costosissimi, è di fatto impossibile; è invece possibile realizzarvi, a basso costo, una pista ciclopedonale, viste le seguenti caratteristiche:
- percorso sostanzialmente ininterrotto dalla costa all'entroterra;
- tracciato in sede propria ben distinta dalla viabilità normale;
- uso consolidato di lunghi tratti come camminamenti pedonali;
- attraversamento di zone di grande pregio ambientale;
- attraversamento di tratti urbani densamente popolati;
- uso sociale di buona parte dei vecchi punti di sosta;
- crescente richiesta di viabilità alternativa da percorrere a piedi e in bici; di recente si è anche sviluppata una richiesta aggiuntiva di percorsi a cavallo, con i roller e gli skiroller; ovviamente, ciò vale soprattutto per brevi tratti tra località vicine piuttosto che per l'intero tragitto di oltre 40 km.
La stessa vegetazione, che attualmente costituisce un grosso problema affrontato purtroppo anche con diserbanti chimici, nonostante il non utilizzo di tipo ferroviario, potrebbe rappresentare una risorsa come arredo vegetale e "corridoio ecologico", ovviamente in base ad un progetto di riqualificazione e adattamento.
Da sottolineare infine il fatto che l'utilizzo della struttura come pista ciclopedonale non pregiudicherebbe un eventuale ripristino della funzione ferroviaria; anzi, qualora in futuro ne fosse dimostrata la necessità, favorirebbe il ritorno del treno grazie alla continua manutenzione della massicciata che, senza cure, si sta degradando in maniera irreversibile.
L'idea di realizzare piste ciclopedonali lungo le linee ferroviarie dismesse è molto diffusa. Le motivazioni emergono in maniera esemplare nel seguente intervento di Albano Marcarini, tratto dal sito della FIAB (Federazione Italiana Amici della Bicicletta).

Enrico Tosi - Febbraio 2008 e date successive

* * * * *

 

EX-FERROVIE, IL FALSO PERICOLO DELLE PISTE CICLABILI
Albano Marcarini (Presidente Co.Mo.Do.- Confederazione Mobilità Dolce *)

Il recente provvedimento governativo - art.81 quinquies della Legge Finanziaria dello Stato per il 2008 - che stanzia un fondo finanziario a favore della trasformazione di alcune linee ferroviarie dismesse in piste ciclabili sta provocando la reazione di alcune associazioni e comitati vari, sintetizzabili, per intenderci, nella generica sigla di ‘Amici della ferrovia’.
La loro preoccupazione è quella di veder vanificati, dopo anni di condivisibili rimostranze e proposte, i loro obiettivi di un ripristino completo del servizio ferroviario anche laddove il treno è ormai un lontanissimo ricordo. Ebbene, senza entrare nello specifico della convenienza economica di tali operazioni, che devono essere ovviamente valutate caso per caso, occorre ribadire con estrema chiarezza che la possibile trasformazione di un sedime ferroviario dismesso in pista ciclo-pedonale non pregiudica, in nessun modo, un successivo, potenziale ripristino del servizio ferroviario. Non lo pregiudica nè in senso tecnico, nè, più in generale, nel comune concetto che abbiamo di un’infrastruttura pubblica di trasporto. Vediamo di dimostrarlo mettendo anzi, in evidenza, come il conferimento di una nuova destinazione d’uso, anche se diversa da quella desiderata dai sostenitori delle ferrovie, comporti dei vantaggi immediati che vanno anche nella direzione da loro desiderata.
Il primo.
È noto come un’infrastruttura in abbandono e non mantenuta corra il rischio di degradarsi rapidamente. Non si tratta solo di problemi di stabilità idro-geologica o di vegetazione infestante, ma anche di possibili accaparramenti abusivi, di più o meno tollerate interruzioni di continuità, di possibile comparsa di discariche o comunque di altri fenomeni di degrado ambientale. Lasciata com’è, e magari disarmata, di una ferrovia si perde anche, negli anni, il ricordo…
Nel momento di un possibile ripristino del servizio, i costi per riportare il sedime in uno stato praticabile sono sicuramente alti e le procedure complesse, soprattutto se la continuità della linea è stata compromessa. Sulla fatica di mantenere in efficienza un sedime dismesso ne sanno qualcosa gli amici della ex-ferrovia Pesaro-Urbino che ogni anno, volontariamente e con enorme sforzo, effettuano un servizio di decespugliamento proprio per mantenere viva la presenza del tracciato.
La trasformazione, l’uso anche provvisorio del sedime in pista ciclo-pedonale previene l’abbandono, il generarsi di situazioni di degrado ambientale, gli utilizzi abusivi, gli accaparramenti dei frontisti. In altre parole conserva, in una prospettiva futura, il capitale fisso dell’infrastruttura e, anche, la sua ‘memoria storica’. Un dato non da poco.
Inoltre la trasformazione in pista ciclo-pedonale comporta il trasferimento della proprietà del sedime, l’affitto o il comodato d’uso dello stesso, a un Ente pubblico, normalmente una Provincia o una Regione, che ne garantisce l’integrità e la conservazione, al quale spettano anche scelte in materia di trasporto pubblico; è proprio una Regione o una Provincia che può stabilire quando, come e con quali fondi ripristinare un eventuale servizio ferroviario. E lo può fare più facilmente se già possiede o ha in uso l’infrastruttura.
Il secondo.
Torniamo un attimo sulla questione della ‘memoria storica’. All’estero, dove operazioni di questo tipo sono state avviate da tempo, ci si è sempre preoccupati di valorizzare tutti gli aspetti storici legati al riutilizzo di un’infrastruttura dismessa. Così capita, in Spagna, nel Belgio, nel Regno Unito, di percorrere a piedi o in bicicletta una vecchia linea ferrata e di ammirare le stazioni (non decadute o demolite, ma convertite in punti di ristoro), alcuni impianti fissi restaurati (scambi, tratti di rotaia, respingenti, segnali ecc.) che erano rimasti in luogo, materiale rotabile pure riportato in sede, gallerie e ponti (che se abbandonati, sarebbero diventati fonte di pericolo per incauti abitanti del luogo). Possiamo, in tutta sincerità, affermare che esista oggi in Italia la stessa attenzione sulle centinaia di chilometri di ferrovie in disuso? No, perché nessuno coltiva questa ‘memoria’, a parte alcuni episodici e meritevoli eccezioni (cito l’operato delle Ferrovie Turistiche Italiane, l’esperienza della Valmorea e della Val Metauro).
Ma soprattutto, così facendo, si mantiene viva nella popolazione l’attenzione, e vorrei dire l’amore per la ferrovia, per ciò che è stata per l’economia locale, i vantaggi che ha portato, elementi di conoscenza che altrimenti, passando le generazioni, si cancellano. Senza questa opera di conservazione della memoria diventa più difficile motivare ogni ragione, anche quella di un possibile ripristino di un servizio ferroviario.
Il terzo.
E veniamo all’aspetto tecnico. Coloro che temono la perdita definitiva di ogni ‘opzione’ ferroviaria se venisse scelta la via della trasformazione in pista ciclabile non è vera neppure sotto il profilo pratico. Intanto abbiamo già sottolineato come il riuso conservi il sedime e le opere d’arte che vi sussistono.
Inoltre il sottile manto asfaltato della pista (se si sceglie questa soluzione, ma è possibile anche mantenere il fondo naturale che dà ancora meno problemi) è facilmente asportabile se si decidesse di riportare i binari. In quel momento un’eventuale opposizione da parte dei sostenitori della bicicletta potrebbe anche essere conciliata con lo scostamento della ciclabile a margine della linea ripristinata, come passaggio di servizio.
Come si vede le soluzioni esistono e sono praticabili. Sarebbero anche possibili con una linea ancora ‘armata’, cioè con i binari posati, utilizzando il margine della massicciata o l’interasse del binario.
Il quarto.
Il beneficio economico e sociale. Avere una risorsa disponibile e non poterla utilizzare è grave. Ancor più grave se questa risorsa va a vantaggio della popolazione, della salute, del paesaggio e dell’ambiente, del tempo libero, della protezione dal traffico, della mobilità sostenibile, del turismo.
Una pista ciclo-pedonale su una ferrovia dismessa ha infatti tutti questi immediati vantaggi e con costi decisamente ridotti, assolutamente ottimali rispetto a questi benefici sociali.
Tenere una linea ferroviaria in abbandono, solo nell’ipotetica prospettiva di un suo futuro riutilizzo in quanto ferrovia, è un lusso che non possiamo permetterci, soprattutto se è dimostrabile, come ho voluto dimostrare, che non esiste conflittualità se nel frattempo viene usata per altri scopi.
Addirittura si potrebbe convenire che nell’atto d’uso della pista-ciclabile venga inserita una norma che prevede espressamente l’eventuale spianto della stessa in caso di ripristino del servizio ferroviario. La proposta di legge che Co.Mo.Do. ha presentato nel 2006 al Senato, grazie alla senatrice Anna Donati, prevede espressamente questa possibilità.
Una ulteriore garanzia a beneficio di coloro che tendono verso questa prospettiva. In definitiva vedo in questa sterile contrapposizione solo la difesa di piccoli interessi, magari certamente motivati da un amore e una passione per una cosa perduta e che si vorrebbe riavere, ma che non coglie le opportunità anche positive di riutilizzare nell’immediato e con compatibilità questa vecchia infrastruttura.

Da: www.fiab-onlus.it - Febbraio 2008

*La Confederazione Mobilità Dolce (CO.MO.DO.) si occupa di mobilità alternativa, tempo libero e attività outdoor. Aderiscono a Co.Mo.Do.:
- Associazione Italiana Città Ciclabili
- Associazione Italiana Greenways
- Associazione Italiana Guide Ambientali Escursionistiche
- Associazione Utenti del Trasporto Pubblico
- Camminacittà
- Cescam (Centro Studi Città Amica - Università Brescia) - Club Alpino Italiano
- FIAB (Federazione Italiana Amici della Bicicletta)
- Federazione Italiana Turismo Equestre e Trec
- Federparchi
- Associazione Direttori Parchi Naturali Italiani
- Ferrovie Turistiche Italiane
- Inventario per le vie di comunicazione storiche
- Italia Nostra
- Legambiente
- WWF Italia

N.B.
Per conoscere le linee ferroviarie italiane abbandonate consultare il sito http://159.149.119.93/ferrovie/ferrovie.html
 
* * *
 
CONCLUSIONI DELLO STUDIO DI FATTIBILITA’  DI SVIM MARCHE *  
  NOVEMBRE 2003

"MODALITA’ & QUALITA’ DELLA CONVIVENZA
UNA STRATEGIA DI VALORIZZAZIONE DELLA LINEA FANO URBINO

Il percorso di analisi condotto nella Parte prima consente di trarre alcune conclusioni relative al ripristino della linea ferroviaria, al di là della definizione degli eventuali costi di dettaglio inerenti alla gestione. Il ragionamento che si può disegnare è dunque il seguente:

1) le condizioni del sedime si presentano con un elevato degrado. Il che non permette di ritenere utilizzabile il tracciato ferroviario per l’eventuale ripristino della linea.
Si tratta di:
- degrado delle traverse di legno che in molti punti del tracciato hanno perso gran parte delle loro caratteristiche di resistenze, sviluppando anomalie, rigonfiamenti e alterazioni;
- degrado dei binari che in alcune parti del tracciato risultano deformati e privi della bullonatura di collegamento alle traverse;
- degrado delle gallerie che, a causa delle infiltrazioni d’acqua, hanno perso la resistenza strutturale;
- degrado del terreno di fondazione che non possiede, in alcune parti del tracciato, caratteristiche di resistenza atte a sostenere la piattaforma ferroviaria;

2) il percorso della linea Fano - Urbino attraversa ambiti densamente antropizzati sia che si tratti di insediamenti residenziali oppure industriali oppure ancora di tipo terziario.
Lo sviluppo economico e sociale ha lasciato i suoi segni sul territorio, incorporando, intersecando, interrompendo la tratta ferroviaria. Uno sguardo all’Allegato 6.6 del presente testo risulta illuminante in proposito, ma si è voluto anche andare a contare in dettaglio le diverse tipologie di interazione con la ferrovia: si è davanti a 296 impatti che spesso tendono a diventare "strozzature" di tipo urbanistico oppure trasportistico oppure ambientale (33 le prime, 91 le seconde, 172 le terze).
A queste si aggiunga una strozzatura normativa, relativa alle condizioni di sicurezza che oggi non permettono più l’attraversamento dei centri abitati a raso del trasporto su ferro;

3) il costo di rifacimento delle infrastrutture e l’acquisto del materiale rotabile, a prescindere dall’eventuale elettrificazione della linea che non è stata conteggiata, porta ad un impegno di poco inferiore ai 150 miliardi delle vecchie lire.
Ad esse andrebbero aggiunti gli oneri di gestione annuale che ovviamente non sarebbero coperti che in parte dai ricavi dei biglietti e degli abbonamenti.
Vicino al costo delle strutture in senso stretto ci sarebbe poi da affrontare il costo, oltre che la concreta fattibilità, del superamento delle "strozzature" urbanistiche e trasportistiche soprattutto: spostare strade, cambiare percorsi, effettuare espropri, indennizzare proprietari di strutture urbanistiche residenziali, industriali e terziarie, effettuare opere di sovrappasso, creare condizioni di sicurezza accettabili per i centri abitati, ecc. presenta oneri economici che vanno ben al di là dei costi di ripristino ferroviario in senso stretto. Il che contribuisce a disegnare una cifra complessiva di costi che vanno ben oltre il raddoppio dei 150 miliardi delle vecchie lire sopra menzionati.
Ma soprattutto si viene a dar vita ad un processo decisionale complesso e lungo che deve ridisegnare un territorio che nel tempo si é conformato attorno e attraverso il percorso ferroviario in disuso.
Infine c’é da considerare l’onere di acquisizione della linea da FS che ha deciso di dismettere il tutto (cfr. punto seguente) e che è disponibile a trattare forse a condizioni di un certo favore se si tratta di Enti Locali, pur di "liberarsi" da oneri di mantenimento e sicurezza che deve garantire comunque anche ad una linea in disuso;

4) l’orientamento delle FS appare essere chiaro: la linea costituisce un asset da dismettere e certamente non un asset su cui investire. Tanto che ormai é stata attivata la procedura formale necessaria per dar corso alle pratiche di eventuale cessione;

5) l’onere complessivo di tutta l’operazione dunque deve fare riferimento al Bilancio regionale (e/o eventualmente degli Enti Locali), cui compete ormai la responsabilità di programmare e di finanziare il trasporto locale. E questo deve misurarsi con i non lievi problemi di risorse che tutte le Regioni e non solo le Marche devono affrontare tramite la fiscalità propria e i rapporti col Tesoro;

6) non si possono certo ipotizzare infine eventuali strade basate sul concorso privato all’investimento, trattandosi di un business di trasporto locale a basso livello di traffico e a forti immobilizzazioni iniziali, visto il notevole impegno che richiede la riattivazione della linea, con tutte le implicazioni territoriali appena citate.
Alla luce di quanto sopra richiamato (che peraltro risulta via via descritto più in dettaglio nel testo) si ritiene dunque non realistica nel breve-medio periodo l’ipotesi di ripristino della linea ferroviaria Fano/Urbino.
E si apre perciò il capitolo degli eventuali usi sostitutivi.

Le possibili ipotesi alternative (Parte seconda) tendono a divaricarsi in maniera netta.
Se si gioca sul piano della “ipotesi del ferro” sia essa quella tradizionale del treno o quella più innovativa del cosiddetto "trenotram", non si può evitare di cadere all’interno di scenari economici che esulano dalle attuali compatibilità rispetto ai bilanci degli Enti locali e della Regione.
Nel lungo periodo si potrebbe forse verificare la possibilità di ripensamenti, magari in favore della soluzione "trenotram", in una logica di complessiva revisione della mobilità di area vasta (che va al di là perciò del solo percorso Urbino - Fano).
Ma sempre a condizione di una disponibilità di risorse economiche pubbliche diversa rispetto ad oggi. Senza contare che nel frattempo nuovi spunti potranno derivare dall’evoluzione tecnologica, applicata ai mezzi di trasporto e ai sistemi di mobilità.
Per ora resta di attualità la pista ciclabile che vede convergere su tale ipotesi molte buoni ragioni, come ad esempio:
- la tipologia del tracciato che permette una buona percorribilità da parte dei ciclisti (per quanto riguarda il tipo delle pendenze da affrontare, gli incroci con strade e con centri abitati, ecc.);
- il significativo richiamo di tipo paesaggistico che il percorso offre a chi ama spostarsi con la bicicletta;
- la possibilità di sfruttare altre piste ciclabili, con le quali realizzare connessioni che valorizzano la proposta qui discussa;
- l’opportunità di godere di zone di attraversamento urbano di richiamo paesaggistico e culturale;
- il livello decisamente più contenuto dei costi di adattamento e di gestione del tracciato, rispetto a qualsiasi soluzione riportabile al treno o ad altre soluzioni tecniche;
- la crescente domanda di turismo naturalistico e culturale che si sta estendendo anche al di là dei comportamenti di nicchia, con un interessamento crescente di fasce più ampie di popolazione e di gruppi familiari.
Se queste sono le buone ragioni, va detto che anche i termini per affrontare la tematica del riutilizzo del tracciato Urbino - Fano risultano maggiormente chiari.
Serve perciò lasciare spazio adesso al confronto e alla decisione, con l’inevitabile "tensione" tra quello che si vorrebbe poter fare e quello che si saprà realizzare in concreto."


* Svim - Sviluppo Marche SpA - istituita con legge regionale n.17 del 1 giugno 1999, contribuisce allo sviluppo dell'economia del territorio marchigiano, supportando l'attività dell'Amministrazione Pubblica, in stretta collaborazione con le forze economiche e nel rispetto degli indirizzi di programmazione regionale, attraverso l'elaborazione di progetti locali, europei ed internazionali nell'ottica del sostegno all'occupazione giovanile e alla promozione del ricambio generazionale.
Alla società partecipano, in qualità di soci fondatori, la Regione, il Consorzio delle Università marchigiane MIT (Marche Innovation Training) e l'Unione regionale delle Camere di commercio. Possono essere ammessi in qualità di soci altri soggetti pubblici o privati ed in particolare le associazioni di categoria.

Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 24.02.2008
    Ultima modifica: 08.05.2011

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