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Cagli: Chiesa di S. Francesco - I miracoli di Sant'Antonio


All’interno della chiesa di San Francesco sono esposti, ai lati dell’altare dedicato a Sant’Antonio, due affreschi rappresentanti i miracoli del Santo: il Miracolo della mula, e il Miracolo della gamba risanata, realizzati per volontà testamentaria del nobile cagliese Guido Luzi.
Le due opere riemersero durante il restauro della chiesa, effettuato nel 1838 dall’architetto cagliese Michelangelo Boni, poiché nascoste da un altare costruito in epoca barocca. Ed è proprio Don Luigi Rossi, storico cagliese, a tramandare la descrizione del loro ritrovamento: “ [...] i due frammenti d’affresco scoperti dall’architetto Michelangelo Boni in circostanza in che si adoperava in alcuni lavori dietro le colonne del medesimo altare e fatto il taglio dei muri furono per cura di lui nel 1838 tradotti fuori e collocati senza menare danneggiamento dove oggi si ammirano.”
Gli affreschi furono oggetto di diatriba tra gli storici dell’arte.
Michelangelo Boni fu il primo a formulare un’attribuzione: egli affermava di aver visto, al momento del loro ritrovamento, un’iscrizione a caratteri semigotici nella quale si leggeva il nome dell’artista Guido Palmerucci. Lo studioso, quindi, li assegna all’artista, facendo riferimento solo all’iscrizione e li colloca all’inizio del XIV secolo.
L’iscrizione sarebbe scomparsa nel momento in cui, trasportando i dipinti dove oggi si trovano, si dovette segare la parete su cui stavano. Don Luigi Rossi è dello stesso parere: reputa veritiera l’iscrizione e attribuisce i dipinti al medesimo artista. In proposito afferma che"ambedue le pitture sono prospettiche e ognuna comprende quattordici testi di variata fisionomia tratteggiata ed espressiva secondo lo stile delle antiche miniature: le estremità, i panneggi, l’architettura, la composizione danno però a vedere l’infanzia in che di quei tempi trovasi la pittura".
All’inizio del 1900 nascono i primi dubbi sulla paternità dei due affreschi, grazie agli studi e ricerche compiute da Giovanni Battista Cavalcaselle negli archivi della città di Cagli. Egli notava come tali dipinti fossero eseguiti più tardi e ne posticipava la data alla fine del XIV secolo. Questa sua tesi si rafforzò con la scoperta del committente dell’opera, il nobile Guido Luzi e del suo testamento, datato 1387, dove disponeva ai figli di far eseguire due dipinti nell’altare di Sant’Antonio nella chiesa di San Francesco.
Sappiamo da Antonio Gucci, che i figli di Guido Luzi, Nicolò e Bero, avendo mancato di adempiere l’obbligo paterno, furono chiamati dal vescovo Agostino di Cagli di fronte al tribunale, il quale impossessandosi dei loro beni ereditari, li vendette per soddisfare le volontà testamentarie del loro padre.
I dipinti, quindi, furono realizzati sotto la giurisdizione del vescovo Agostino, il quale governò la diocesi dal 1379 al 1396. “E’ chiaro dunque che il Palmerucci, nato nel 1280 e morto nel 1345, non poteva essere l’autore di questi affreschi”.
Parlando di queste due opere Cavalcaselle scrive che “le figure sono magre, snelle, con mani piccole e difettose, ma nel tutt’insieme l’espressione loro non manca di una certa dolcezza di carattere, benché abbiano nelle loro forme come si è detto, qualcosa di povero e meschino. Le carni sono di tinta rosa, chiara con ombre verdognole ma la pittura difetta di rilievo. Questi affreschi, più che vere pitture, sembrano due lavori all’acquarello trasportati in grande e colla stessa esecuzione tecnica sulle pareti”.
Lionello Venturi, storico dell’arte, nel 1914 ritrovò in una soffitta della congregazione della Carità di Cagli un quadro rappresentante una Madonna della Misericordia, la quale, dopo il restauro, fu attribuita ai Salimbeni, per “l’energia cromatica, la grazia delle linee e la dolcezza delle curve”. Notò, inoltre, delle analogie con gli affreschi di San Francesco attribuendoli anch’essi ai Salimbeni. Questa teoria fu smentita dal Van Marle nel 1927, il quale affermò: “I do not think it likely that they are by Salimbeni to whom they have been ascrived”.
Gottardo Buroni, storico cagliese, nel 1927 attribuiva gli affreschi a Guido Palmerucci; non considera quindi le ricerche eseguite negli ultimi anni dai suoi colleghi e la datazione del testamento, ma reputa veritiera l’iscrizione vista dal Boni.
Nel 1934 Luigi Serra si allontana dagli studi passati e attribuisce gli affreschi ad un pittore umbro o sotto l’influenza umbra, non escludendo quella di Ottaviano Nelli.
Pietro Zampetti escluse che i due affreschi potessero essere opere dei Salimbeni.
Fu Walter Fontana a dare un contributo notevole agli studi sui due affreschi e alla loro paternità. Egli riprende la teoria di Lionello Venturi secondo la quale i due dipinti devono essere messi in relazione con la Madonna della Misericordia e si attiene alle ricerche eseguite dal Cavalcaselle negli archivi comunali datando le opere alla fine del XIV secolo. Egli aggiunge: “vi sono delle affinità soprattutto con il Miracolo della mula per quanto riguarda le due figure angeliche che sorreggono il manto della Vergine, con uno dei volti dei giovani presso il vegliardo”.
Egli ritiene che siano lavori dell’artista Antonio Alberti da Ferrara, ma si tratta di “un Alberti meno plastico e più lineare tanto da far pensare ad una fase sua, più acerba o meno ferrarese, più vicino nel periodo giovanile ai modi del Nelli e del Gentile, prima del suo ritorno in Emilia”.
Egli giunge a quest’attribuzione per analogie che trovò confrontando tali opere con altre certe dell’artista, come per esempio le didascalie goticheggianti poste sotto le scene che commentano i due fatti miracolosi e che rimandano a quelle collocate sopra le storie dei Miracoli di Sant’Aldebrando a Fossombrone e la loggia che rimanda all’affresco di San Giovanni Evangelista a Ferrara. Aggiunge Walter Fontana che “non mancano rinvii al polittico urbinate di San Donato del 1439 attraverso non solo le figure del Sant’Antonio, quale ci appare nel Miracolo della gamba risanata, ma anche quella della madre del miracolato al centro della composizione a mani appena congiunte con un atteggiamento che ci riporta alla Madonna dello stesso polittico e alla Sant’Anna di Talamello”.
Attualmente gli affreschi sono attribuiti ad Antonio Alberti da Ferrara. Come abbiamo già detto, gli affreschi rappresentano il Miracolo della mula e il Miracolo della gamba risanata.
Il primo affresco mostra una composizione di quindici figure stanti sotto una piccola loggetta. In primo piano l’artista pone la scena principale, ossia il momento in cui l’animale, affamato, si piega di fronte all’ostia consacrata tenuta in mano da Sant’Antonio, rifiutando l’avena che il giovane gli porge. Troviamo in primo piano la figura di Sant’Antonio rappresentato di profilo, in piedi, con l’ostia in mano, dinnanzi al quale inginocchiato si trova non solo l’animale tenuto con una corda dal suo padrone, ma anche un giovane chierico che tiene un cero acceso nelle mani. Il primo piano è occupato da un secondo padrone della bestia rappresentato con il cesto d’avena. I personaggi in secondo piano sono colti nell’attimo di maggiore sconcerto, meraviglia e stupore per il fatto appena accaduto. C’e chi parla, come i due uomini dietro il santo, uno dei quali è un frate, c’è chi indica meravigliato l’ostia, c’è chi si porta la mano al viso, come il giovane in secondo piano, e chi guarda il luogo dell’avvenuto miracolo.
Nel secondo affresco Sant’Antonio benedicendo riattacca la gamba che un giovane si era tagliato per punizione, avendo insultato con un calcio la propria madre. Si tratta di una composizione di dodici figure; a lato è rappresentato il giovane, seduto sopra un banco, con la mano destra al petto e l’altra appoggiata sulla gamba, mentre sta guardando il Santo che inginocchiato di fronte al giovane lo sta guardando intensamente. Tiene sollevata la mano destra, mentre con la sinistra accomoda la gamba del giovane. Vicino al ragazzo si trova un uomo rappresentato nel momento in cui accenna al giovane di guardare verso il cielo. Al centro si trova una donna a mani giunte in atto di pregare.
Giovanni Battista Cavalcaselle ritiene che queste due figure rappresentino i genitori del giovane mutilato.


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 26.09.2006
    Ultima modifica: 14.07.2007

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