L'affresco è conservato sotto l'arco di destra del presbiterio. Le scene rappresentate sono due. L'ultima cena vera e propria e un momento particolare di questa, la lavanda dei piedi. Entrambe sono incorniciate in una architettura tardogotica, come se si svolgessero in due piani diversi di una costruzione della quale lo spettatore vede una sezione. Al piano terra l'Ultima Cena, con Cristo al centro e gli apostoli disposti ai lati. Il tavolo è proposto con una prospettiva che lo appiattisce, ma che al contempo ci permette di leggere in maniera estremamente chiara tutti i cibi e le vettovaglie apparecchiate. La natura morta che propone il tavolo è totalmente funzionale al clima di estrema semplicità, di spontaneità del dipinto, tipico della scuola emiliana della fine del '300.

In primissimo piano, al di qua della tavola, un quattordicesimo personaggio è intento a ricevere l'eucarestia per mano di Cristo. In questo misterioso personaggio si vuole riconoscere il committente del dipinto. In secondo piano, o meglio nel solaio dell'edificio che vediamo in sezione, l'altra scena: la lavanda dei piedi. Il registro sembra altro, almeno quello di una mano più legata ad arcaismi trecenteschi piuttosto che ad una cultura rivolta all'entrante Quattrocento. Anche al piano superiore è interessante notare la cura riposta dall'ignoto pittore nel descrivere i particolari architettonici, le travature, tutte riprese in uno scorcio che permetta una più facile fruizione dell'opera.

L'affresco è stato recentemente restaurato da Isidoro Bacchiocca.