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BREVE RELAZIONE SUL PORTO CANALE DI FANO, di anonimo dell'inizio del 1900


Versione digitale di un testo con lo stesso titolo conservato nella Sezione dell'Archivio Storico di Fano, A.S.C., 1907, cat. X, cl.11, b. 21.

Citazione bibliografica: Breve relazione sul Porto canale di Fano, di anonimo dell'inizio del 1900. In: "La Valle del Metauro - Banca dati sugli aspetti naturali e antropici del bacino del Metauro", http//www.lavalledelmetauro.it. Ed. Associazione Naturalistica Argonauta e Comune di Fano, Fano (PU).

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Le prime memorie documentali risalgono al 1348 e sono fornite dai libri della Depositaria (Archivio Storico del Comune di Fano, Depositaria 4) ove con la data del 22 febbraio di quell'anno si annotano pagamenti a Ser Boldrino e a Ser Marcho da Venezia, maestri del porto, e con la data dell'8 di Aprile a Maestro Antonio ingegnero de Messer Jacomo da Charara mandato per lo fatto del Porto.

Nel 1475 sette di febbraio si concedeva licenza alla città di fabbricare un porto nuovo non lungi dalla Rocca e al 21 di giugno del 1480 il Pontefice Sisto IV vi concorreva con un sussidio, poiché l'opera che era costata una spesa rilevante al Comune non era ancora compiuta.

Il 14 febbraio 1486 si stipulava un contratto con Antonio Nordio di Chioggia ad faciendum palos et faciendum palatas necessarias et opportunas ad fabricam portus pedicti, iam incepti per dictam comunitatem ad flumen Argille (Pergamene, Classe I n° 52).

Nel 1491 il Cardinale Balves, Legato della Marca, disegnò una darsena vicino a Porta Angelica (oggi Barriera Vittorio Emanuele) in cui dovevasi introdurre parte delle acque del Metauro col beneficio di un cunicolo murato e coperto, che principiando dal Molino della Sacca doveva proseguire sino a Fano, opinando che il corso vivo di tali acque col loro moto accellerato dovesse conservare espurgato l'alveo (vedi P. M. Amiani, Memorie Istoriche della città di Fano, Vol. II). L'opera fu iniziata, ma non compiuta per la gravità della spesa.

Il 26 settembre 1536 un Breve di Paolo III nel confermare alla città la facoltà di battere monete d'oro e di argento, le concedeva diverse esenzioni in vista delle spese che avrebbero dovuto sostenere per la costruzione delle palate a difesa della spiaggia, e delle mura contro l'impeto del mare.

Il 4 novembre 1550 il consiglio generale istituiva una Congregazione di 6 cittadini per sopraintendere ad una nuova fabbrica che si era progettata appresso alla Rocca, valendosi sempre delle acque dell'Arzilla.
Finalmente il 6 maggio del 1553 veniva condotto come architetto del Porto per il tempo di un anno Pietro Cilla da Clodia con il salario di 60 scudi, tre some di grano all'anno e con la gratuita concessione di una casa per la quale non dovesse pagarsi una pigione maggiore di 7 fiorini all'anno (vedi Protocolli Cancellieri, Voll. 28 e 94).

Nel 1563 il Comune era esonerato dalla contribuzione per il porto di Ancona dovendo riparare il suo (Pergamene, Classe I n° CLVI).

Nel 1595 troviamo memoria di una nuova costruzione che si sarebbe dovuta intraprendere vicino a Porta Marina secondo le istruzioni di Lolio Lori architetto camerale.
Né tante spese e tanti progetti sembra avessero per effetto di assicurare alla città uno scalo conveniente per i suoi traffici.

Nel 1600 ancora si era incerti sulle risoluzioni da adottarsi definitivamente, e possediamo con la data del 3 settembre di quell'anno una diligente relazione di Cesare Porta ingegnere di S.M. Cesarea che scriveva da Rimini al Magistrato, dicendo, che "trovandosi alli giorni passati in Fano vide che il sito dell'Arzilla sarebbe molto a proposito e buono per fare un porto, a beneficio e comodo della città". Desideroso di servire i Fanesi si offriva a farlo per scudi 5000 con molo mandrachio e palificate. Pare che ai Priori Comunali al progetto dell'Arzilla ne preferissero un altro presso la Rocca e ne commettessero il disegno allo stesso Porta, che rispondeva il 7 dicembre di non poterlo eseguire, e in quanto alla proposta inviata diceva necessario un aumento di prezzi perché nelle vicinanze non si trovava, come prima gli avevano riferito, la pietra, che invece doveva commettersi in Istria. Il negozio prosegui lungamente, ma non si venne ad alcuna conclusione sebbene sull'argomento si richiedesse anche l'oracolo del Pontefice, che accolse favorevolmente nel febbraio 1601 una proposta del Porta di costruire a sue spese le opere nell'Arzilla col patto di goderne per anni 5 con tutti gli utili, emolumenti del Capitanato e dell'Alberazio, del dazio delle osterie transito e dazii delle mercanzie e passati i 5 anni la facoltà nel comune di riscattare il Porto con scudi 10 mila da pagarsi a lui od ai suoi eredi.

Nel 1611 i molini a grano che esistevano fuori della città vennero trasportati entro le mura ed in quel tempo venne costruita la grande chiusa sul Metauro, convogliandovi le acque del medesimo per un canale largo in fondo piedi 7, e in bocca a proporzione, aperto in 20 mesi da operai di Rocca di Canne contado di l'Aquila fino al mare, per il prezzo di scudi 17 mila. Compiuta quest'opera si dimostrò Paolo V che avendo la fabbrica dei molini condotta dentro la città l'acqua del Metauro si era per detto effetto mostrato la facilità di fabbricare un porto sicuro utile al commercio della città, di Roma e di gran parte dello Stato con una spesa, stante la comodità delle suddette acque, non superiore a 32 mila scudi.
Il 4 agosto 1612 Geronimo Rainaldi scriveva al Magistrato che nella stessa mattina la Congregazione del Buon Regime aveva risoluto che il Porto si facesse dandone la cura al Cardinale Serra protettore della città ed a lui per condurlo a perfezione. Era stato grande fautore della concessione Galeotto Uffreducci Fanese cameriere segreto di Paolo V.
Il 16 gennaio 1613 si stipulava in Roma il contratto per la fabbrica del Porto ed il 30 dicembre il pontefice, che aveva molto a cuore quest'opera, che avrebbe preso nome da lui "Porto Borghese" assegnò al Comune 7 diversi proventi per anni 20 prorogabili dai suoi successori. Il Comune da parte sua prendeva a prestito scudi 47 mila.
La prima pietra fu gettata nel maggio 1614 coniandosi per l'occasione alcune medaglie in argento e in rame col nome del Papa e la leggenda intorno Portu Burghesio a fundamentis extructo. Le opere furono condotte con grande alacrità, i sussidi dello stato per lungo tempo confermati, e le spese del Comune si accrebbero in modo quasi intollerabile per ogni ordine di cittadini; ma purtroppo non se ne ottennero i risultati che le pubbliche rappresentanze ed il popolo se ne erano ripromessi.

E' meritevole di essere ricordato quello che il 4 dicembre 1679 scrivevano al tesoriere generale Mons. Ginetti i Priori comunali: "Anticamente la darsena serviva di Porto, mentre il mare giungeva in quella, ma dopo che a poco a poco si andò ritirando assegno di essere lontano quasi un tiro di moschetto, si procurò di fare un alveo ristretto da palificate, con che andandosi sempre incontro al mare, si è venuto a mantenere il Porto. Nel principio che si cominciarono la palate si fece sboccare quasi alla bocca di esse il canale d'acqua, che prima entrava di continuo nella darsena per mantenere con la correnza di essa polita la bocca suddetta dalla breccia che porta il levante, et altre volte si faceva scorrere per la darsena suddetta ad effetto di spurgarla dal fango. Ma dopo molti e molti anni tanto si riempì che fu necessitata la città di farlo escavare con grossa spesa l'anno 1649". La lettera concludeva esprimendo l'avviso che in vista della tenuità delle somme si dovesse lasciare indietro la darsena, e portare avanti il suddetto canale.

Nel 1680 fu chiesto un parere di un valente idraulico olandese Cornelio Meyer, che opinò doversi respingere il partito vagheggiato da alcuni di rifare un nuovo porto all'Arzilla, potendosi restaurare il vecchio, ma se non vi sono memorie della esecuzione di lavori progettati dal Meyer questo è certo, che nel 1692 il Colonnello Cerruti e Gerolamo Caccia soprastante alle fontane di Roma introducesse nel porto l'acqua dell'Arzilla e se ne ebbe, a quanto sembra, il mirabile effetto che poco appresso il canale si dovette riempire per impedire le esalazioni miasmatiche che corrompevano l'aria purissima della città.

Nel 1723 Innocenzo XIII commise al Cardinale Fulvio Astalli la esecuzione di un nuovo progetto già studiato fin dal 1720 dall'Architetto Gabus, che pare si ispirasse alle idee del Meyer. Si allargò il canale che portava le acque del Metauro. Altre opere si costruirono ugualmente utili ai molini della comunità, ed al porto fra i quali degno di nota il ponte a piedi della liscia, che dal Legato Urbinate prese il nome. Condotti a termine i lavori furono istituite oltre la cassa delle speciali rendite del Porto altre due, chiamate dei lavori e delle grazie le quali due ultime servivano dopo passato un assegno alla cassa dei lavori, per la dimissione dei debiti precedentemente contratti per il Porto: la cassa dei lavori poi era destinata a sostenere tutte le spese che occorrevano al detto porto, ai vallati ed alla chiusa del Metauro.

Nel 1744 furono deliberati altri lavori di restauro secondo una perizia dell'architetto riminese Bonamici, che prevedeva la spesa di scudi 1520 per un nuovo taglio che più volte era stato trattato di fare al fiume dell'Arzilla verso il Porto, che dicevasi avrebbe servito di sommo vantaggio non solo al medesimo per lo scolo dell'acqua, ma ancora alla città per la maggior salubiìrità dell'aria.
Ma nel 1746 si tornavano a studiare nuovi progetti e gli eletti, pronti come dicevano a rifare anche il Porto di nuovo per i gravi danni verificatisi fecero venire il gesuita Ippolito Sivieri, lettore di matematica e l'ingegnere Giacomelli di Ferrara per consigli. Costoro proposero di rendere navigabile il canale da ponte storto sino al ponte Astalli con la spesa di 8 mila scudi. Il disegno abortì salvo una piccola parte che ne fu eseguita, consistente in un prolungamento delle palizzate ai moli che già in 132 anni si sono inoltrati di metri 240 verso tramontana. Alla fine crescendo gli interramenti del canale e notevoli guasti essendosi anche verificati alla chiusa, la Congregazione del Buon Governo mandò Carlo Murena, che aveva fama di grande architetto. Questi intervenne il 25 settembre 1753 ad una riunione della Congregazione del Porto ed il 7 aprile dell'anno successivo mandò la sua relazione, che prese forma di regolare progetto nel 1760, fondato su questo concetto: costruzione di un guardiano da prolungarsi periodicamente a levante del canale per far argine alle breccie invadenti del Metauro.

Dieci anni dopo Clemente XIII pubblicava un Breve con nuovi ordinamenti sulle dogane di Fano e dazi del Porto della medesima città, dicendo di voler seguire gli esempi "di Paolo V, Urbano VIII ed Innocenzo X che ben conobbero quanto felice era la situazione del Porto della nostra città di Fano ad utile e comodo non solo di quei cittadini, ma ancora di una parte dello Stato di Urbino della provincia dell'Umbria e di Roma stessa".

Nel 1776 si riconosceva già la necessità di nuovi lavori ed essendo passato per Fano il Padre Gaudio, professore di idrostatica valentissimo fu invitato a visitare il Porto, ciò che egli fece il 23 di maggio promettendo di mandare una relazione. Il 14 aprile dell'anno successivo senza abbandonare l'esecuzione del progetto Murena, riconosciuto fin d'allora come il più utile e pratico, si deliberò di costruire una palizzata di fronte alla croce dei Cappuccini e nel 1783 su disegni dell'architetto Luigi Baldelli si continuavano ancora i lavori secondo il sistema suggerito dallo stesso Murena. In quell'anno la Congregazione del Porto su proposta del Vice Capitano signor Lelio Rinalducci, ordinava che si riducessero a comodo e delizioso passeggio per il pubblico i due tratti di strada in riva al canale, detto comunemente il taglio da ponte storto a ponte rosso, opera ideata e stabilita fin da quando fu escavato il detto canale.

Nel principio del secolo XIX il Tenente Colonnello Castagnoli compilò per incarico della Congregazione del Buon Governo un progetto interessante reclamato dallo stato a cui erano giunte le cose, non essendovi alla bocca del canale più di mezzo metro d'acqua. Il lavoro ideato consisteva nel portare più innanzi la bocca, piegandola a greco e liberandola così dal riparo del guardiano che sarebbe diventato uno dei moli.

Sotto il governo Napoleonico furono ripresi d'ordine dell'Imperatore, gli studi, e l'ingegnere Rambaldo propose di trasformare il Porto in una rada. Il progetto non fu nemmeno discusso.

Nel 1818 l'amministrazione del Porto passò dalla speciale Congregazione cittadini al Corpo degli Ingegneri della Delegazione Apostolica di Urbino e Pesaro.

Il 10 dicembre 1821 si concedeva in appalti ai fratelli Rivali e loro socio Pietro Renzetti per la somma di scudi 7230, pagabili dalla cassa camerale i lavori di grosse riparazioni, riordinazione e restauro dei moli di levante e ponente e sistemazione del canale di navigazione del Porto, secondo i disegni del Sotto Ispettore, ingegnere capo Pompeo Mancini. Il relativo progetto annesso all'istrumento dopo aver accennato all'ingente spesa di scudi 100 mila fatta dal comune per la escavazione del canale, aggiunge che lo abbandono in cui fu lasciato da 13 anni lo ha ridotto a tale, che appena può entrarvi una piccola barca peschereccia passando per alcuni raggi di acqua che si mantengono aperti fra la breccia alla sua imboccatura. Fu altra volta meditato di accrescere il volume dell'acqua nel canale del porto e di aumentarne la sua velocità poiche oltre l'introduzione del torbido Arzilla, che si dovette poi rimuovere per i suoi dannosi effetti, furono anche praticati dei sopracarichi di acqua trattenuta artificialmente al cosiddetto ponte storto e fu eretto specialmente un costoso manufatto detto la Liscia da cui cade precipitoso il corso dell'acqua per moltiplicare la forza contro le dune del Metauro; ma tutti questi lodevoli mezzi non giunsero mai a migliorare la condizione del Porto.

Dal 1818 al 1828 le spese incontrate per il porto congiuntamente con quelle della chiusa ammontarono a scudi 33699,28 dei quali specialmente applicati al porto scudi 14398,287. Detratti i redditi particolari del porto versati nella Cassa Provinciale e ciò che la città dovette contribuire nel censimento rustico per la sopratassa "porti" cioè scudi 6784,01, risulta che la spesa netta sostenuta dalla Cassa provinciale indipendentemente dalle opere eseguite alla Chiusa, fu di scudi 7614,272, la quale somma in virtù del Motu Proprio 23 ottobre 1817 si divise a metà fra il Governo e la Provincia. Si tace dei successivi lavori di restauro e di ulteriori spese sostenute, particolarmente dei progetti Francolini (1829) e Castagnoli (1830). Riferiremo solo che, abbandonato il progetto Castagnoli il quale comprendeva la sitemazione del canale al di sopra di ponte storto, l'abbassamento del tratto fra ponte storto e la liscia, il prolungamento del piano inclinato della medesima e la costruzione di un riparo al porto col suo medesimo braccio destro prolungato fino a cento metri dal lido, con bacino di forma ellittica nell'interno, si procedette alla costruzione di un molo guardiano di legname ad angolo quasi retto nella direzione approssimativa dell'antico guardiano Murena. Quest'opera per molto tempo ebbe utili effetti.

Nel 1860 uno dei primi atti della nuova municipalità fu di interessare il Regio Commissario Straordinario delle Marche alle condizioni del porto: il 7 agosto 1861 si appaltavano i lavori di prolungamento del molo guardiano – quello costruito secondo i consigli del Murena – su perizia e disegni dell'ingegner Pasquali per la somma di L.17.801,52. Grave contestazioni insorsero nell'anno successivo per il ponte della ferrovia gettato sul canale, che doveva in origine essere girante, e poi fu invece costruito in muratura, impedendo completamente il passaggio delle barche alberate.

Nel 1863 il 30 dicembre, senza che alcuno se ne commovesse, con istrumento Severi fu affrancata una enfiteusi perpetua dell'uso dell'acqua della liscia e sue adiacenze per il prezzo di L. 798,15, concessione avuta anticamente da tal Domenico Tommassini per uso industriale e quindi passata a un possidente del paese Giuseppe Fabbri, dal quale più tardi ogni diritto si trasferiva negli Albani, già diventati proprietari dei molini comunitativi. Il fatto merita di essere ricordato non tanto perché abbia importanza per il porto, al quale è ormai dimostrato essere dannose le acque della liscia, che si riteneva invece dovessero tenerne sgombra la bocca, ma perché grave danno ne derivò alla città, che si vide spogliata per tenue somma di una ricchezza non dispregevole, quale si sarebbe potuta ricavare utilizzando il saldo dell'acqua che all'erario comunale tanto denaro aveva costato.

Proseguendo dobbiamo notare, che in virtù della legge 20 marzo 1865 allegato F e della conseguente classificazione dei porti del Regno, il Porto Borghese dal Genio Civile, sostituito alla antica azienda idraulica provinciale passò alla dipendenza dell'Amministrazione Comunale, che provvide subito ad eseguire importanti lavori.

Nel 1867 l'Ingegnere del Comune proponeva un insieme di opere esplicando i concetti del Murena in una sua pregevolissima relazione e concludendo così: "l'unico mezzo che col suffragio dell'esperienza e con certezza di buon successo possa salvare dalla breccia le palate della foce è un guardiano sulla spiaggia di levante lungo abbastanza da sopravanzarle e proteggerle, il quale formi con esse un sistema da prolungarsi poco per volta, e secondo il bisogno nella medesima proporzione, giacché l'avanzamento della spiaggia riesce per tutti i conti inevitabile. L'ottima cosa sarebbe avere due guardiani, l'uno prossimo, l'altro lontano."

I lavori progettati consistevano pertanto:
1) Nel prolungamento dei due moli all'imboccatura e del molo guardiano per metri 25 ciascuno.
2) Nella costruzione di un nuovo guardiano a metri 250 a levante dell'attuale e nella stessa direzione, che si protenda in mare per metri 70.
3) Nello spurgo della bocca e sue adiacenze nonché di tutto il canale fino a giusto fondale.
La spesa prevista era complessivamente di L.146.427,40.

Nel 1868, mentre era pendente una domanda di sussidio al Governo, ravvisata nell'urgenza, si eseguì il restauro e il prolungamento del molo guardiano.
Nel 1871 fu redatto un piano esecutivo per sostituire la vecchia palata di levante e l'opera compiuta nel 1872 costò L. 80.735,32. In dieci anni si erano spese L. 147.217,92 , delle quali L. 37.093,41 a carico della Provincia, L. 110.124,51 a carico del Comune: onde più vive divennero le insistenze onde ottenere un concorso dallo Stato. Nel 1878 fu appaltato per L. 49.000 il lavoro del prolungamento delle due palate all'imboccatura; ma ancora non poteva dirsi compiutamente eseguito il piano delle opere progettate e dai tecnici ritenute necessarie. Il Governo subordinò il suo concorso nella spesa alla costituzione di un consorzio così per le opere di manutenzione come per i nuovi lavori e non senza difficoltà il Consorzio fu con Reale Decreto finalmente costituito.

Sopravvenne intanto la legge del 1865 che sottoponeva nuovamente allo stato la direzione e gestione dei porti: quello di Fano fu classificato in terza classe della seconda categoria. Da quel tempo furono in più volte eseguiti importanti lavori, come la nuova scogliera in prosecuzione del vecchio molo di guardia ed un prolungamento complessivo delle palizzate del canale di circa 65 metri. Nella spesa concorsero a termini di legge la Provincia, il Consorzio del Comune e lo Stato.

Ma parte perchè i progetti presentati dal Genio Civile al Ministero, e raccomandati dai Corpi interessati furono per ragioni di finanza sfrondati di quello che parve non assolutamente necessario, nuovi lamenti si levano dalla operosa classe marinaresca e nuove opere si reclamano. Già si scorge la necessità di prolungare ancora il molo di guardia a scogliera e molti opinano che sia pur da consigliare la costruzione di un nuovo guardiano a levante del primo a circa 300 metri di distanza, secondo le proposte del Murena, riprodotte e svolte dall'Ingegnere Enrico De Poveda nella ricordata relazione del 1867. Sia però da adottarsi l'uno o l'altro partito, certo è, che se non si voglia colpire a morte la fiorente industria della pesca per la quale il porto di Fano tiene forse il primo posto fra tutti i porti dell'Adriatico, sia per il numero dei legni, sia per l'audacia dei suoi lavoratori, conviene provvedere a mantenere libera la bocca dalle brecce del Metauro, come riuscirebbe senza dubbio utilissimo al traffico il prolungare la muratura della quale fu in parte rivestita la palizzata del molo guardiano, per agevolare le operazioni di carico e scarico.

 

Parte Seconda - Movimento della pesca

 

170 trabaccoli, barche e galleggianti in genere inscritti all'Ufficio del Porto di Fano.
800 inscritti marittimi al suddetto Ufficio.

In particolare:
- Barche da pesca n° 100 di tonnellate 2000, del valore complessivo di L. 281.000 con una produzione annua di L. 430.000 per una quantità di pesce sbarcato di chilogrammi 860.000 e con 550 persone di equipaggio.
- Battelli per il traffico del pesce n° 47 di tonnellate 116,48 del valore di L. 10.750, con persone 94 di equipaggio.


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 24.02.2005
    Ultima modifica: 16.07.2010

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