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Cagli: Chiesa di S. Francesco - Affreschi della volta dell'abside


Le fonti storiche locali riportano la notizia che a metà del XIV secolo la Chiesa di San Francesco fu affrescata. Si circoscrivono a questo periodo gli affreschi della volta attribuiti a Mello da Gubbio scoperti in seguito all’avvio dei lavori intrapresi per il consolidamento dell’edificio danneggiato dal terremoto del 1997.
Degli affreschi si erano perse le tracce, poiché occultati da una scialbatura compiuta nel 1500 o per motivi sanitari legati alla diffusione della peste in quegli anni o in seguito ai dettami del Concilio di Trento a proposito delle raffigurazioni di soggetti sacri all’interno degli edifici religiosi. Essi erano inoltre celati alla vista da una modesta volta sottostante sette – ottocentesca che, dato il suo modesto valore artistico, è stata rimossa.
La notevole finezza esecutiva felicemente recuperata sotto lo scialbo, nonostante alcune mancanze dovute a tentativi di strappo degli affreschi perpetrati precedentemente al riammodernamento interno della chiesa in gusto neoclassico, permette una loro attribuzione alla mano di Mello da Gubbio, proposta da Alessandro Marchi, poiché alcune figure, come ad esempio San Giacomo Maggiore e San Bartolomeo, hanno delle affinità con i santi che si trovano rappresentati nella Madonna col Bambino e Santi, esposta nella pinacoteca di Gubbio ed opera certa dell’artista.
L’artista eugubino costituisce una recentissima acquisizione per la storia della pittura trecentesca: il suo nome è apparso, infatti, soltanto nel 1979 con il restauro della tavola della Pieve d’Agnano (oggi nel Museo Diocesano di Gubbio). Il recupero ha permesso di spostare sul nuovo pittore gran parte del vasto corpus d’opere trecentesche eugubine, rubricate sotto il nome di Guido Palmerucci, noto da documenti per aver lavorato nel palazzo dei Consoli, ma senza paternità certa d’opere.
Le opere del corpo ex palmerucciano sono: la Madonna dei Consoli esposta nel palazzo dei Consoli a Gubbio, il polittico rappresentante una Madonna con Bambino, San Giovanni e Santa Caterina a Firenze nella collezione Serristori, la Madonna col Bambino della collezione Van Gelden di Bruxelles e due Maestà staccate dalla chiesa di Santa Maria Nuova e conservate nella pinacoteca comunale eugubina.
Dalle scarse notizie affiorate sui vari Mello eugubini è risultato che nessuna persona di tal nome fu pittore.
Enrica Neri Lusanna ipotizza, in seguito a ricerche d’archivio, “che Mello possa essere il capostipite di quella bottega eugubina d’artisti, teorizzata da Francesco Santi, che proseguendo con Mattiolo scultore e Martino pittore, culmina nel più celebre Ottaviano, il cui patronimico già nel Quattrocento appare corretto in Nelli”. La data di nascita dell’artista è postulata intorno al 1285, grazie ad un documento che c’informa come “Mathiolus Melli” il 23 maggio del 1337 fu eletto consigliere del popolo, carica alla quale si poteva accedere solo se si aveva superato i trent’anni. Essendo quindi il Mattiolo nato non dopo il 1307, si deduce che il padre Mello dovette nascere intorno al 1285. Se la data fosse esatta, il corpus delle opere di Mello si addensa tra il quarto e quinto decennio del Trecento, nel momento di piena maturità dell’artista. Al momento appare oscura la fase giovanile del maestro, della quale sono state individuate alcune opere come il Polittico della pinacoteca di Gubbio risalente al 1330, raffigurante una Madonna col Bambino e Santi, la Crocifissione della chiesa di San Francesco a Pergola, posteriore al 1325 ed infine la Madonna dei Consoli, databile al 1336/37.
Il ciclo di Cagli, datato alla metà del XIV secolo, ricopre una superficie di circa 100 metri quadri e rappresenta la parte superiore di una vasta compagnia d’affreschi che doveva interessare tutta l’estensione dell’abside. Gli affreschi sono posti nelle lunette e nelle vele della volta ad ombrello costolonata. I costoloni sono decorati come in uso nel 1300 e in pratica caratterizzati da un motivo di stelle incastonate in quadrati messi a croce e mostranti un ricercato gioco di alternanza di colori. Ci troviamo di fronte a sei vele con due coppie d’Apostoli, seduti in trono, i quali sembrano tenere una sorta di disputa e interagire tra loro su un discorso complesso che non c’è dato conoscere.
Ogni coppia è sormontata da angeli reggenti delle corone destinate al capo di ciascuno apostolo. Le figure si mostrano imponenti e maestose. Abbiamo Pietro, vestito con tunica gialla e verde, con il pollice della mano destra rivolto verso l’alto mentre con la sinistra tiene ben strette le chiavi, purtroppo oggi non più visibili, poiché realizzate con lastre di metallo in argento applicate con un collante sull’affresco; Paolo, fiero di tenere accanto a sé la spada anch’essa non più visibile; Filippo, rappresentato glabro; Taddeo, con l’indice rivolto verso l’alto; l’apostolo Giovanni, il quale, pur privato della sua testa che forse è stata asportata in tempi passati, è stato individuato per la veste rossa e la palma del martirio; Giacomo Maggiore, con espressione seria e pensante; il giovane Giacomo Minore, con i suoi tipici capelli lunghi; Matteo, intento a leggere il codice che sta tenendo in mano e Bartolomeo con la sua tipica veste fiorita.
Tre sono gli apostoli che non sono stati identificati a causa della mancanza d’indizi iconografici. Negli spicchi si trovano altre figure, forse profeti, di cui l’unico identificabile è Enoch, il quale è rappresentato con accanto una pergamena, la quale ha condotto all’identificazione del personaggio: vi si trova, infatti, una scritta la quale riporta il nome del profeta: “EST ENOCH”.
La zona della controfacciata sovrastante l’arcone trionfale accoglie una bellissima raffigurazione di figura femminile con un monaco; secondo Alessandro Marchi, si tratta di Santa Maria Egiziaca e l’artista ha rappresentato il momento in cui Zosimo, dopo avere coperto le nudità della donna con un mantello, la benedice. A sinistra abbiamo invece la rappresentazione di un drago probabile attributo dell’Arcangelo Michele. Al centro della composizione, un personaggio, non più ben visibile, è stato identificato in San Francesco, perché, forse, è il santo al quale la chiesa è dedicata. Sotto tale figura si trova rappresentato una specie di fuoco, retto dalle mani di due angeli; questo però non è un attributo di San Francesco, ma piuttosto di Sant’Antonio.
Ancora l’iconografia è oggetto di analisi. Gli affreschi denotano una grande qualità stilistica. Il manto di Giacomo, il volto, l’incarnato, i colori, e gli artifici grafici, come la barba, denotano un impasto molto raffinato. L’artista ha alle spalle la conoscenza della pittura senese per quanto riguarda la scelta cromatica, per gli accostamenti molto preziosi, come il verde del manto di San Pietro che è illuminato di chiaro, ma ad un tratto il colore diventa più scuro, e si fonde con il giallo, unendosi in una tonalità a dir poco armoniosa.
Da notare sono le figure degli angeli: essi si stagliano su uno sfondo celeste ed imponenti emergono dalle nuvole cangianti. Il loro aspetto fisico è sottolineato e messo in evidenza dalle loro vesti attillate, e con scollatura ampia. Questa caratteristica è un indice dell’abbigliamento della seconda metà del ‘300. Ogni volto, ciascuno sguardo, seppur differente l’uno dall’altro, rivela una forte carica emotiva, una certa intensità psicologica data con pochi tratti.
Mello da Gubbio può essere considerato, a modo suo, un epigono dei fratelli Lorenzetti o meglio, il propagatore nelle terre che oggi appartengono all’Umbria nord-orientale ed alle Marche occidentali del verbo pittorico senese nell’accezione elegantissima che ebbe a produrre Ambrogio Lorenzetti nella prima metà del ‘300. Rispetto alla pittura senese, c’è qui, però, una rigorosità maggiore e l’ornato è più sintetico.
Il ciclo di Cagli viene ad essere la sua impresa più importante, tanto nella vastità quanto nella raffinatissima qualità di pittura.


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 05.10.2006
    Ultima modifica: 14.07.2007

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