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La cotognata della signora Angela


Grazie signora Angela!
La signora Angela, da tempo scomparsa, gentile come una figura di altri tempi, avanzata nell'età ma non nello spirito, ci ha ricevuti con un sorriso sulla porta del suo casolare di campagna a Rio Salso.
Questa - ci spiegò - è una delle ultime propaggini della terra di Romagna, come se, per uno strano gioco, chi un giorno tracciò i confini del Montefeltro, si fosse divertito a fare degli schiribizzi sulla carta non tenendo conto degli effettivi termini naturali. Ne risultano così divisi i campi, le vigne, le forme e chi avesse avuto bisogno, un giorno, di recarsi in provincia, sarebbe dovuto andare fino a Forlì, a più di 100 chilometri di distanza. Ma chi è abituato a sopportare questi e ben altri scherzi del destino, non senza una certa ironia, anche le sue origini sono venete, aggiunge che ella si sente marchigiana a tutti gli effetti.

Dopo questa precisa e gustosa presentazione, la dolce signora ci ha introdotto nella grande cucina di sapore particolare che ella ha ingentilito con il vezzo della sua familiarità. Alle pareti erano addossati una madia e dei pesanti cassoni di color rosso bruniti sui quali facevano mostra ninnoli e piccole fotografìe: ai muri risultavano appesi quadri, piatti di ceramica e di stagno finemente decorati; un lampadario di ferro al centro della stanza gettava chiazze di luce che lambivano appena il soffitto incorniciato di travi; dietro la porta era una vecchia stampa che ricordava la meraviglia di Fano per l'avvento della luce elettrica; il tutto circondato da un alone rarefatto come se apparisse attraverso una trine invecchiata dal tempo, ricamata color seppia. Perfino il tè che ci fu servito attraverso il passino in tazze ornate di fiori azzurri ci sembrò una gradevole mistura di sapori profumati. Eppure ella era sempre concretamente presente, affaccendata come era attorno al gabarè di vimini intrecciati che si intonavano al vermiglio colore dei mobili e parlava con una voce chiara di sé, del suo marito, della sua vita, come se da sempre avesse tratto dalla terra la bontà della sua ispirazione.
Grazie signora Angela per averci accolto nella sua casa, grazie per le sue dolci premure, per la sua introvabile cotognata, grazie per essere la compagna fedele del nostro straordinario, indimenticabile Fabio Tombari.

Si lavano accuratamente le mele cotogne per toglierne il velluto. Dopo averle messe, coperte d'acqua, in una pentola larga chiusa con il coperchio, si fanno bollire molto lentamente. Ogni tanto per provarne la cottura, si infilza una mela con un ferro da calza; quando questo penetra facilmente significa che la bollitura è ultimata. Si tolgono le mele dalla pentola con lo scolino e si stendono su un panno ad asciugare. Quando sono fredde si tagliano a pezzi scartando semi e torsolo; poi si cuociono di nuovo in un tegame basso e largo a fuoco moderato, con 8 etti di zucchero per ogni chilo di mele. Si mescola continuamente con un cucchiaio per circa un'ora e mezza, finché la pasta ottenuta non si restringe. Allora si immerge la cotognata in uno stampo per budino, bagnato nell'acqua e scolato bene. L'indomani si rovescia la forma con grande facilità. Se fosse necessario, bagnare il fondo dello stampo con acqua bollente. La cotognata si conserva per mesi e mesi ed è preferibile consumarla in inverno.


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 10.04.2005
    Ultima modifica: 10.04.2005

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