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Archeologia nella bassa valle del Metauro sino a Fossom...

Gabriele Ghiandoni


Il suo primo lavoro edito, dopo decenni di scrittura per sé, è stato In cima al mare. All’apparenza un dizionarietto dei modi di dire fanesi, in realtà la forma dizionario era un pretesto per altri viaggi, non solo linguistici o filologici. Ecco un esempio: “ Fa BUBU / “far capolino” : spiare e non essere spiati. E quindi, per fare ciò, spostare avanti-indietro il capo da un riparo sicuro, con movimento ritmico, pendolare: bubù, bubù. A me ricorda, chissà perché, il quadro di Max Ernst: Il Bambino Gesù sculacciato dalla Vergine Maria alla presenza di tre testimoni. Dal riquadro in alto a sinistra, Breton, Eluard e lo stesso Ernst fanno bubù”. L’anno dopo, sempre per Maggioli, è uscito il suo secondo volumetto, Idillio marinaro in quattro parti e un prologo. Questa urgenza di dare alle stampe sarà una caratteristica di Gabriele, non solo un bisogno di allontanare da sé i propri fantasmi, ma anche un’ansia di recupero del tempo perduto. Sotto questa insegna in effetti si potrebbe raggruppare quasi tutta la sua produzione letteraria.

Il suo mondo perduto si delinea a poco a poco e diventa ossessivo, non in senso patologico, ma come una costellazione di stelle fisse che stabiliscono i riferimenti e i confini dei suoi itinerari poetici e narrativi. Più che un mondo chiuso direi un mondo talmente amato da sembrare ogni volta diverso, pur essendo semplicemente oggetto di variazioni. La sua è una cartografia artigianale, spesso decorata di citazioni dagli autori più congeniali, nella quale si profilano la Milano degli anni Cinquanta, il corso sinuoso del Metauro fino alla foce, il labirinto di vicoli della sua Fano, il porto e la vallata che sale verso Urbino, addormentata sulla propria storia. Pino Paioni aveva individuato due moduli tipici in Ghiandoni, le variazioni e le impressioni, vocaboli che hanno risonanze musicali. Prima però Ghiandoni ha cercato di portare in letteratura anche la sua formazione scientifica, con il Trattatello di geometria fantasiosa e Veleni, piccole prose frantumate, dense come tele raggrumate di colore. Infine l’esperienza dialettale è uscita con tutta la sua ruvida purezza: Gí a tors nel 1994, Da per lu sol nel ’96, La festa nel ’98 e La musiga nel 2000. Qui il dialetto fanese è il grimaldello che apre il baule dei ricordi, ma a sua volta è contaminato da altre memorie, ugualmente consustanziali: le parole folgoranti degli scrittori che Ghiandoni ha sentito fraterni. Il suo dialetto è povero e rude, intarsiato però di queste stranianti tracce letterarie. E il suo mondo si allarga, pur rimanendo sostanzialmente lo stesso: le rive fangose del Metauro, Monte Giove come primo gradino collinare e religioso verso il cielo, animali araldici come il martin pescatore e l’anguilla, le stagioni scolpite dai venti: la bora di mort, na bava de tera.

Quasi in parallelo e su temi analoghi ha preso forma la sua narrativa, pubblicata da Manni: I racconti di Fano, Al fiume, La scrittura va sola per il mondo. Attraverso impressioni che si allargano a illuminare situazioni slegate e come disperse, in questi libri viene raccontata una storia lontana, racchiusa negli anni dell’infanzia e della giovinezza, lasciando però al ricordo la casualità della sua insorgenza. È una specie di archeologia interiore che naturalmente può essere condivisa, come per quelli che, raccontando con un po’ di nostalgia e lasciandosi sorprendere dalle immagini e dagli affetti, un po’ godono e un po’ soffrono di questa condizione, e il parlare inventa una sua propria musica e sembra non avere un canovaccio dove inserirsi.

La raccolta poetica del 2003, Concerto, riesce a far convergere, come ha scritto Massimo Raffaeli, questi due grandi bacini adiacenti e persino comunicanti, la prosa e la poesia, il dialetto e la lingua italiana. Si può considerare l’approdo di un percorso di sintesi, che in seguito diventerà una sorta di stilema o meglio un buen retiro dentro una propria lingua in parte ereditata e in parte inventata o reimpastata. I libri seguenti, Sinfonietta e Canto di fine estate, scandiscono brevi frasi liturgiche, dove musica e solitudine dialogano dentro il suo museo interiore: “En c’è manca na stella, / sin armasti no dó” / Lontana nascosta / la bava de mâr). / L’erba profumata dla Chiusa / troncata presto, all’alba. // “Guarda la casa roscia / sa i madón in fila dopia. / Il campo da volo; / - giocavamo a rincorrerci – “ // Lontano un cane / la bora calda dell’estate.

Nelle poesie di Ghiandoni si avverte subito la provocazione consapevole di un dialetto che usa una dissonante tecnica collagista. Qui il dialetto perderebbe la sua necessità, il senso consueto dell’abitare in un luogo e in una comunità, se la tensione non fosse così radicale da investire anche la voce più intima. Il suo dialetto è l’arguzia disperata di una corporalità disillusa. Non è un dialetto comunitario semmai elitario, comunque coincide con la lingua che lui parla ogni giorno.

Le eleganti plaquette degli ultimi anni, ideate dal cugino Tullio Ghiandoni e da Michele Ambrosini, che le ha ridisegnate mantenendo il segno grafico e lo spirito dell’avventura intellettuale, sono i messaggi nella bottiglia che raggiungono periodicamente gli amici, meditate nell’isola al primo piano di via De Borgarucci, dove il generale cura i suoi acciacchi e affila le punte acuminate delle sue battute. Queste Dediche (molte altre dediche sono disseminate nei suoi libri), pubblicate nel 2014 dall’Associazione Culturale “La Luna” in una edizione d’arte, si travestono da titoli di coda ma sono una maschera ormai riconoscibile della sua poetica. È un modo di tracciare il cerchio magico di un mondo reale e immaginario, soggetto agli umori neri, alle idiosincrasie e agli affetti. Un mondo che subisce l’impronta del suo carattere scontroso e generoso, a volte illuminato a volte testardo, ma intagliato netto nel legno, come il logo ‘lacerqua’, un vessillo pirata impresso nelle sue più recenti uscite editoriali. Monologo, Monologo a più voci, Due poemetti, Fragmenta, Citazioni altro: impossibile escludere queste brevissime raccolte da una bibliografia sommaria, perché proseguono quella musica cupa e seriale con movimenti diversi e analoghi. “Sin spinti in tl’angul / - bestiacce riluttanti – da ‘na man / brugulosa scacciati per la gruâga … ”[1].

Dunque queste dediche sconfinano oltre la periferia dei suoi libri, guardano indietro per rivedere le figure che affiorano quasi per caso dalla foschia degli anni, e a volte si vede solo un dettaglio, un appunto, un’allusione, un’ombra, oppure un discorso già detto, che proprio per questo viene rispolverato, e ricollocato tra i lari con le parole più semplici, come un’oralità smemorata.

 

[1] La gruâga è una strada in salita, per la precisione è la strada che dal porto sale fiancheggiando la Rocca Malatestiana. Brugulosa significa non levigata, più che rugosa.

 

Biobibliografia essenziale

Gabriele Ghiandoni è nato a Fano nel 1934. Ha insegnato matematica all’Università di Urbino. Poeta, narratore e saggista, ha fondato e diretto insieme a Ercole Bellucci e Marco Ferri l’almanacco di letteratura Cartolaria (1988-1998).

opere

In cima al mare: modi di dire dal dialetto marchigiano. Maggioli, Rimini 1986. Un’edizione ampliata è uscita con la prefazione di Giuseppe Bellosi e con il titolo In cima al mare / bis, Lacerqua, Fano 1996

Idillio marinaro in quattro parti e un prologo. Maggioli, Rimini 1987

Trattatello di geometria fantasiosa, con una nota di Ercole Bellucci. Quaderni di Barbablù, Siena 1989

Veleni, con una nota di Attilio Lolini. Edizioni l’obliquo, Brescia 1991

La vacanza a mare, con una nota di Eugenio De Signoribus. Editrice Flaminia, Pesaro 1991

Gí a tors, prefazione di Achille Serrao. Longo, Ravenna 1994

Da per lu sol, postfazione di Maria Pia Ambrosini. Mobydick, Faenza 1996

La festa, postfazione di Giovanni Tesio, nota di Eugenio De Signoribus. Mobydick, Faenza 1998

I racconti di Fano. Manni, Lecce, 1999

La mùsiga, con una nota di Enrico Capodaglio. Marsilio, Venezia 2000. 

Al fiume, nota di Marco Ferri. Manni, Lecce 2002

Concerto, con una nota di Massimo Raffaeli. Edizioni L’Obliquo, Brescia 2003

La scrittura va sola per il mondo, introduzione di Fabio Pusterla. Manni, Lecce 2005

Sinfonietta, prefazione di Francesco Piga. Prova d’autore, Catania 2006

Canto di fine estate, prefazione di Francesco Piga. Prova d’autore, Catania 2008

Dediche, con testi di Marco Ferri, Eugenio De Signoribus, Peter Kammerer. Associazione culturale “La Luna”, Sant’Elpidio a Mare 2014.

Tra le plaquette più recenti: Due poemetti, nota di Francesco Piga, 2007; Monologo, nota di Francesco Scarabicchi, 2009; Monologo a più voci, nota di Gio Ferri, 2010; Fragmenta, nota di Francesco Piga, 2011; Citazioni altro, prefazione di Enrico Capodaglio, 2013 : tutti pubblicati con lacerqua, Fano. La Fondazione Cassa di risparmio di Fano ha pubblicato due opere narrative: Il viaggio di ritorno, nota di Marco Ferri, 2007 e Due città, 2008.

 


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 24.02.2015
    Ultima modifica: 25.02.2015

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