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Giustino Salvolini detto Episcopi: Lapidazione di S. Stefano


L'opera firmata e datata 1570 è un tipico esempio di quell'esagitazione motoria che caratterizza le tele di Giustino Salvolini: "un vento tempestoso si impossessa delle figure, si ingolfa nei loro panneggi e nei loro capelli, amplifica i loro gesti declamatori".

Il perno della composizione è il Santo, attorno al quale gli aguzzini formano quasi un vortice in movimento, creando una forte tensione drammatica, accentuata dai colori squillanti delle vesti. Contrastano, così, ancora di più la fermezza e la saldezza del Santo che trova eco nel lontanare quasi sereno e pacato del paesaggio, mentre un angelo gli reca la corona del martirio.

Forte in quest'opera è l'ascendenza del linguaggio manierista della capitale fra gli anni '30 e '50 del '500. Lo si riscontra, per esempio, nel tipo di architettura monumentale che costituisce il fondale della scena e che conduce diagonalmente in profondità, nonché nella cromia della tavolozza non immemore di quella dei vadesi Zuccari (per esempio nelle decorazioni della villa di Caprarola, presso Roma).

Evidente è poi il michelangiolismo delle anatomie, tratto imprescindibile per un pittore che avesse operato a Roma nella prima metà del '500, ma che forse, in questo caso, risulta elemento desumibile, come anche Arcangeli ha sottolineato, da opere di Pellegrino Tibaldi, pittore, scultore e architetto manierista, operante largamente, oltre che a Roma, anche nelle Marche, anch'egli collaboratore di Perin del Vaga, come anche sembra lo fosse l'Episcopi.

Molteplici per il Salvolini sarebbero state, quindi, le occasioni di incontro con l'opera di questo grande artista.

BIBLIOGRAFIA

AA.VV. 1979


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 02.04.2001
    Ultima modifica: 13.12.2004

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