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La caccia e la pesca in acqua dolce a Fano e a Mombaroccio sino al 1950 circa


 

Metodi di caccia

La caccia agli storni
Preparazione
Si sceglieva un albero alto, solitamente un olmo, che cresceva fra i filari delle viti o in un campo libero. Sulla cima, lasciandolo sporgere dalla chioma, si legava un lungo ramo coi rametti terminali piegati ad angolo, in modo che fossero allineati col capanno. Alla distanza di una ventina di metri si costruiva un capanno, in parte interrato, con rami e frasche, lasciando una feritoia per puntare il fucile nella direzione del ramo inclinato.
Richiamo
Attorno all'albero si collocavano due o tre gabbie con alcuni storni che fungevano da zimbelli; al suolo si piantavano i trapponi (tutoli neri bruciacchiati infilati su un bastoncello che dovevano imitare uno stormo posato fra l'erba). Al passaggio di uno stormo, gli zimbelli "scriccavano", cioè cinguettavano nel modo caratteristico degli storni, inducendo i compagni in volo a posarsi sul ramo inclinato, per ispezionare la zona e poi scendere a pascolare a terra. La rosa dei pallini della fucilata falciava la maggior parte degli uccelli posati sul ramo.
Note
Gli zimbelli venivano catturati con le reti un anno prima e poi tenuti in gabbia alimentandoli con le crisalidi essiccate dei bachi da seta ("vermnac"). La caccia si svolgeva nel periodo della migrazione, fra settembre e ottobre. Gli storni hanno carne tenace, ma cotti a lungo in pasticciata, non sono male.

La caccia ai colombacci ("palomb")
Preparazione
Su una spianata in prossimità di campi alberati si costruiva un capanno quasi completamente interrato coperto con frasche; sulle cime di alcuni alberi vicini si fissavano pali recanti un posatoio di vinchi intrecciati di forma circolare, per i piccioni neri addestrati per fungere da zimbelli. Il posatoio era collegato con un filo di ferro sottile all'interno del capanno. Un uomo stava di vedetta sulla cima di un albero alto.
Richiamo
All'arrivo di uno stormo di palombe, l'uomo di vedetta dava il segnale gridando ai compagni del capanno: questi davano uno strattone, una dopo l'altra, alle piattaforme su ciascuna delle quali stavano posati uno o due piccioni. I piccioni scendevano a volo andandosi a posare davanti al capanno inducendo anche le palombe di passaggio a posarsi alla portata dei fucili dei cacciatori che sparavano stando attenti a non colpire i loro collaboratori.
Note
La caccia si praticava solo in autunno. Le palombe migravano in piccoli gruppi dl cinque-dieci individui.

La caccia ai tordi
Preparazione
Si costruiva un capanno di frasche in una zona alberata, nei pressi di un albero coperto di edera (detto "lèl", cioè' "l'ellero").
Richiamo
Lo zirlo breve e acutissimo dell'uccello veniva prodotto dal cacciatore girando avanti e indietro la vite del richiamo del tordo, in dialetto "sis".
Note
I tordi frequentavano il folto dell'edera per cercarvi rifugio e cibo (le bacche della pianta). Il merlo, meno ricercato del tordo, veniva richiamato con un "sis" a mantice.

La caccia alle anatre selvatiche
Preparazione
Si costruiva un capanno quasi completamente interrato sulla riva di un'ansa del fiume o di uno specchio d'acqua artificiale.
Richiamo
Si usavano trapponi galleggianti, imitanti perfettamente le varie specie di anatidi, acquistati in negozio. Come richiami sonori si usavano speciali "raganelle" o altri strumenti.
Note
La caccia si praticava in pieno inverno, nelle notti serene e freddissime. Alcuni cacciatori, per essere a tiro, si installavano entro botti galleggianti.

La caccia alle pavoncelle
Preparazione
Si costruiva un capanno quasi completamente interrato e coperto con frasche, in un campo aperto, preferibilmente con qualche ristagno di acqua piovana.
Richiamo
Si piantavano a portata di fucile sagome scure con funzione di trapponi. Al passaggio di uno stormo, si produceva il verso degli uccelli soffiando con un disco di latta piegato in due e forato al centro, tenuto fra le labbra (vedi "Richiami").
Note
La caccia veniva praticata nel tardo autunno; le pavoncelle venivano abbattute a fucilate o catturate con reti.

La caccia alle allodole
Preparazione
Il cacciatore, camminando curvo al riparo di un filare di viti, si portava a tiro, in vista delle allodole che camminavano fra i bassi ciuffi d'erba zampettando vivacemente. E poi sparava.
Richiamo
Aspirando aria dal "sis" tenuto fra le labbra il cacciatore produceva il verso acuto e sottile che le allodole di uno stormo in volo si lanciavano fra loro, inducendole a posarsi.
Note
La caccia si praticava nelle giornate soleggiate dell'inizio della primavera, quando l'erba era ancora bassa. Solitamente si raccoglievano più allodole di quante se ne vedessero, perché alcune erano nascoste dall'erba. Lo storno non si allontanava molto e il cacciatore poteva indurlo a posarsi ancora. Nelle campagne le allodole erano numerose ancora nel secondo dopoguerra.

 

Richiami
Richiamo per quaglie ("el trufèl")
Descrizione
Era costituito da uno zufolo inserito in una guaina. La guaina si otteneva piegando in due e cucendo a mano i due lembi con spago; aveva l'apertura del diametro dello zufolo; veniva tenuta in forma inserendovi una matassina di crini di cavallo o di vacca. Lo zufolo era formato da un tratto tubolare segato da un osso lungo di un bovino o di un suino; la finestrella di uscita del suono sporgeva di poco dalla guaina; la parte sottostante conteneva la linguetta costituita da cera d'api; la parte sporgente dell'osso veniva parzialmente otturata con un tappo di cera d'api, lasciando un foro per la modulazione del suono.
Uso
Lo strumento veniva tenuto con la mano sinistra, fra l'indice e il mignolo alzati, e il medio e l'anulare abbassati. Il suono veniva prodotto tamburellando sulla guaina con le dita della mano destra; il pollice della sinistra, tenuto sul foro superiore dello zufolo, serviva a regolare l'altezza del suono emesso.
Note
Il truffello serviva per riprodurre il verso della femmina in modo da richiamare il maschio. Per usarlo efficacemente occorreva una speciale abilità, frutto di una lunga esperienza. Il bracconiere possedeva una serie di truffelli di varie dimensioni, in modo da graduare il richiamo secondo la distanza del maschio.

 

Richiamo per allodole ("el siss")
Descrizione
Era formato da due dischetti di ottone forati al centro e saldati a un anello di diametro appena inferiore, mediante stagno.
Uso
Si portava appeso a un filo. Al momento dell'uso veniva inserito fra le labbra; il sibilo delle allodole si produceva aspirando ripetutamente aria attraverso i fori dei dischetti. Il richiamo serviva per indurre uno stormo di allodole, che volava lento e basso, a posarsi a terra in modo da averlo a tiro.

 

Richiamo per tordi ("el siss")
Descrizione
Era costituito da una vite a farfalla avvitata forzatamente in un foro praticato in un blocchetto di legno duro, per esempio di faggio.
Uso
Il verso breve e acuto del tordo veniva prodotto col cigolio della vite entro il legno: tenendo il blocchetto con la sinistra, bastava dare un colpetto avanti e uno indietro alla farfalla della vite tenuta fra l'indice e il pollice della destra.

 

Richiamo per pavoncelle
Descrizione
Era costituito da un semplice pezzo di latta tagliata da un barattolo in forma fra il circolare e l'ellittico, piegato in due e forato verso il centro con un chiodo di media grossezza.
Uso
Veniva tenuto fra le labbra, all'interno della bocca. Soffiando e regolando l'uscita dell'aria dal foro superiore con la punta della lingua, si potevano produrre fischi simili al verso dell'uccello.
Note
Le due lamine sovrapposte della latta erano lasciate leggermente divaricate. L'uso dello strumento esigeva un'abilità particolare.

 

Richiamo per pavoncelle
Descrizione
Si poteva costruire usando semplicemente due sbarrette di legno lunghe 5-6 cm, con le due facce destinate a combaciare leggermente scavate al centro, e tre anelli tagliati da una camera d'aria rossa da biciclette. Un anello veniva teso attorno a uno dei legnetti, gli altri due servivano per unire fra loro i due legnetti.
Uso
Si soffiava nell'incavo di fianco ai due legnetti in modo da far vibrare l'elastico teso; l'altezza del suono poteva variare modulando l'intensità del soffio (crescendo lento, decrescendo rapido).

 

L'uccellagione

Il laccio
Materiale
Una brega ottenuta spaccando in quattro un segmento canna comune, tagliato da un lato vicino al nodo; un crine lungo strappato dalla coda di una vacca.
Preparazione
Si smussava la punta rimasta dopo avere spaccato il diaframma del nodo; si apriva una breve fenditura longitudinale a metà del settore del nodo; si appuntiva l'altra estremità della brega. Si piegava in due il crine, si lasciava un piccolo cappio, si arrotolavano le due estremità tra il pollice e l'indice e poi si inserivano nel cappio in modo da formare uno scorsoio del diametro di circa 3 cm. Si inseriva il laccio nella fenditura della brega e lo si fissava avvolgendo la parte sporgente attorno alla brega e inserendo la parte terminale ancora entro la fenditura.
Collocamento
Con l'estremità di un bastone cilindrico si praticava un buco orizzontale nella parete tagliata di un pagliaio di paglia e vi si spingeva all'interno una spiga di grano intera. Si piantava la brega in corrispondenza dell'apertura, diagonalmente verso il basso, in modo da poter sistemare lo scorsoio attorno al buco.
Funzionamento
Il passero si aggrappava alle paglie e spingeva la testa entro il buco per beccare i chicchi della spiga; ritirando la testa , le punte delle penne del collo si impigliavano nello scorsoio che si serrava attorno al collo dell'uccello.
Note
Veniva usato in inverno con la neve, quando i passeri cercavano chicchi nei pagliai. In alternativa, il laccio veniva infilzato nel terreno in corrispondenza di un buco praticato col manico di una vanga, entro il quale si versavano alcuni chicchi di grano.

La trappola con la porta ("La trapla")
Materiale
Un'asse larga (o una piccola porta), un piolo, una corda lunga di paglia palustre, usata per impagliare sedie.
Preparazione
Si sollevava un lato dell'asse puntellandolo col piolo alla base del quale si annodava la corda. Si liberava dalla neve il terreno sottostante l'asse e vi si spargevano chicchi e briciole.
Collocamento
Si montava la trappola vicino casa, in luogo riparato frequentato da passeri e altri uccelli.
Funzionamento
Si copriva la cordicella con la neve e la si faceva passare attraverso una finestra entro casa. Quando alcuni uccelli erano entrati sotto l'asse, si tirava la corda per sganciare il piolo. Si saliva sull'asse per schiacciare gli uccelli, che poi si recuperavano.
Note
Questo sistema, usato solo nelle giornate di neve, permetteva la cattura sia di passeri che di altri uccelli (cinciallegre, pettirossi, fringuelli, verdoni). Per la cattura dei passeri venivano anche usate le tagliole metalliche a molla acquistabili negli spacci.

 

La trappola coi mattoni
Materiale
Due mattoni comuni, tre breghe di canna, una spiga.
Preparazione
Si posavano sul suolo i due mattoni uno vicino all'altro; si posava il gambo della spiga nel cavo di una delle breghe e lo si fissava poggiandovi sopra le altre breghe divaricate, unendo le altre estremità in modo da formare un triangolo; si sollevava da un lato uno dei due mattoni inserendo il triangolo di breghe in modo che il centro della brega alla base poggiasse sullo spigolo superiore del mattone orizzontale e che il vertice sostenesse lo spigolo inferiore del mattone sollevato (la spiga deve essere rivolta verso il suolo).
Collocamento
Si collocava la trappola in un luogo non disturbato frequentato dai passeri.
Funzionamento
Il passero, tirando la spiga per estrarne i chicchi, faceva scomporre il triangolo e crollare il mattone inclinato, restandovi schiacciato sotto.
Note
Il sistema era meno usato dei lacci e della trappola con la porta; poteva essere usato anche per la cattura delle penticane.

 

La passerara o nassa per passeri ("La pasarâra")
Materiale
Vinchi neri lunghi e sottili.
Preparazione
La passerara era una nassa per la cattura dei passeri: una crina a forma di ciambella, rigonfia al centro, con un'apertura a imbuto al centro della parte superiore e un fondo apribile fissato con cordicella.
Collocamento
Alla base di un pagliaio o in altro luogo frequentato dai passeri.
Funzionamento
Attraverso l'apertura in alto si mettevano nella gabbia due o tre passeri vivi che funzionavano da zimbelli e alcuni chicchi di grano o spighe: i passeri accorsi si infilavano nell'imbuto e poi giravano all'interno senza più trovare la via d'uscita. Si catturavano vivi aprendo il fondo della passerara.
Note
Probabilmente non esiste più nessuno che sappia costruire una passerara, essendo la tecnica assai complessa. Per avere un'idea della sua forma si può consultare la voce "Crini e crine" nel capitolo "Lavori agroartigianali".

 

La rete per passeri
Materiale
Due pertiche sottili lunghe circa quattro metri; una rete di filo sottile a maglie fitte delle dimensioni di circa 3x2 metri.
Preparazione
Si fissavano con filo i due lati minori della rete alla parte alta delle pertiche.
Impiego
Mentre due uomini sostenevano le pertiche tenendo tesa la rete e girando lentamente attorno a un pagliaio nel quale i passeri si rifugiavano per passare la notte, un terzo uomo batteva la parte alta del pagliaio con una canna robusta: i passeri spaventati uscivano dal pagliaio e finivano nella rete, che veniva richiusa e poi abbassata per catturarli.
Note
L'operazione si svolgeva nelle fredde sere d 'inverno. La squadra faceva il giro delle case coloniche chiedendo il permesso di "passerare."

 

La rete per quaglie
Preparazione
Veniva tessuta con filo sottile in casa o acquistata.
Impiego
Veniva stesa di sera o all'alba sopra l'erba medica. Il bracconiere si acquattava fra l'erba e, con un truffello (vedi "Richiami"), produceva il verso della quaglia femmina per attirare il maschio. Quando questo, col verso di risposta e col movimento degli steli, segnalava la sua presenza sotto la rete, l'uomo si alzava e faceva rumore: l'uccello, spaventato, si alzava in volo ma si impigliava nella rete e ricadeva subito facendosi catturare.
Note
La rete, fino agli anni Venti, veniva abitualmente usata dai contadini anche in luogo della cintura, per sostenere i pantaloni; quando udivano il verso di una quaglia maschio, potevano sempre sfilarla e stenderla sull'erba, iniziando a tamburellare sulla guaina del truffello. Il bracconiere portava con se' una serie di truffelli di varie dimensioni; il più grande, detto "svegliarino", veniva usato per richiamare la quaglia da lontano, gli altri per produrre versi via via più sommessi. Il verso della quaglia consiste in potenti fit-fifit alternati a terrificanti me-meo. I carabinieri tenevano sotto sorveglianza i più noti bracconieri di paese e di campagna, impegnandosi in epici inseguimenti.

 

La quagliottara
Preparazione
Veniva preparata seminando in un campo di granoturco confinante con un campo di foraggio due solchi convergenti di meliga molto fitta. Cresciute le piante, al vertice della V veniva collocata una rete a sacco.
Impiego
Le quaglie, solitamente una femmina con una fila di una dozzina di pulcini, veniva guidata dal bracconiere attraverso il campo di foraggio fino all'ingresso della quagliottara entro i due solchi dai quali non potevano più scappare e finivano entro la rete.
Note
L'uso della quagliottara fu ben presto abbandonato per la facilità con cui i carabinieri potevano individuare l'impianto.

 

La cattura dei nidiacei

I passeri
Luogo
Venivano catturati sotto i coppi e le tegole dei tetti sui quali si saliva con lunghe scale.
Scopo
Erano destinati a scopo alimentare; alcuni potevano essere addomesticati dopo aver tagliato loro la punta della parte inferiore del becco; altri venivano utilizzati per la passerara.
Note
La cattura avveniva quando, dopo un'imbeccata dei genitori, i passeri segnalavano che erano cresciuti abbastanza; alcuni venivano raccolti a terra quando cadevano al momento dei primi voli. La cattura serviva anche per proteggere i campi di grano, sui quali gli stormi si abbattevano con effetti devastanti.

Le quaglie
Luogo
I nidi venivano scoperti casualmente nei campi di foraggio o di grano in piccole depressioni del terreno, per esempio l'orma degli zoccoli di una vacca.
Scopo
I quagliottini venivano cucinati o allevati in gabbia per servire da richiamo.
Note
La cattura dei nidiacei richiedeva una sorveglianza continua del nido, dal momento che erano molto precoci e lasciavano molto presto il nido per seguire la madre (a quanto si diceva, col guscio ancora attaccato addosso)

 

Le averle ("gàstrig")
Luogo
I grossi nidi di steli secchi imbottiti di piume erano molto comuni fra i pampini sui tralci dei filati di viti.
Scopo
Una nidiata di cinque piccoli, che il nido riusciva appena a contenere, era considerato un bottino prelibato.
Note
I nidiacei segnalavano la loro posizione con versi di eccitazione che si udivano da lontano.

 

Le cince ("clichi")
Luogo
I nidi si trovavano nel cavo di alberi non molto alti, solitamente gelsi; chi vi passava vicino poteva udire il flebile cinguettio emesso dai piccoli in attesa dell'imbeccata.
Scopo
I piccoli finivano in padella nonostante il loro peso di pochi grammi.
Note
La stessa cavità veniva spesso occupata da una coppia per più anni. Nei cavi dei tronchi si potevano trovare anche nidi di torcicolli, coi piccoli che facevano oscillare il collo in modo caratteristico.

 

I verzellini ("sverzulìn")
Luogo
I nidi, minuscoli e bene imbottiti, costruiti su piccole biforcazioni di rami di un albero, erano invisibili da terra essendo mimetizzati con scaglie gialle e verdi dei licheni della corteccia.
Scopo
Per la loro taglia modesta a volte, invece che mangiati, erano tenuti in gabbia, ma pochi sapevano come allevarli.
Note
Per la bellezza del piumaggio finivano spesso in gabbia anche i piccoli dei fringuelli, dei verdoni, e soprattutto dei cardellini che erano più facili da allevare.

 

Gli usignoli ("rusignoj")
Luogo
I nidi si trovavano nelle siepi e nei cespugli di sambuco anche vicino alle abitazioni.
Scopo
Qualcuno riusciva ad allevarli in gabbia per la bellezza del loro canto.
Note
Degli usignoli si diceva che hanno trentasei tipi di canti.

 

Le tordèle ("tord gagiàr")
Luogo
Costruivano grossi nidi sulle biforcazioni degli alberi.
Scopo
Una nidiata costituiva un bottino gastronomico assai ricercato.
Note
Un piccolo poteva essere addomesticato e lasciato libero per la casa, come i piccoli della specie affine delle gazze.

 

La pesca in acqua dolce
La pesca dell'anguilla con la matassa
Preparazione
Si vangava il terreno per cercare i lombrichi; si infilava un lombrico dopo l'altro in un filo di rete, formando una lunga collana che poi si ripiegava più volte per ottenere la matassa.
Si legava la matassa al centro con un filo che poi si annodava all'estremità di una canna lunga e robusta.
Impiego
Stando sulla riva di un corso d'acqua torbida dopo una piena si tuffava la matassa e si attendeva. Quando l'anguilla abboccava addentando la matassa, il pescatore con uno strattone estraeva la matassa alla quale l'anguilla restava agganciata.

 

Celso Mei

La raccolta dei granchi
In passato alcuni erano soliti andare in cerca di granchi, specialmente nella zona di Fonte Corniale e dell'Arzilla. Lungo le rive dei ruscelli, nei punti dove scorreva l'acqua o in cui il terreno era più umido e cedevole, i granchi si scavavano dei buchi come tana.
Quando stavano più a filo d'acqua era meno faticoso catturarli: si afferravano con le mani affondate nei buchi. Talvolta vi si trovava anche una biscia d'acqua!
Ma spesso per stanare i granchi, bisognava scavare con la zappa in corrispondenza del buco. Una persona da sola riusciva a prenderne diverse diecine. In campagna il "bottino" aumentava: due uomini, insieme, una volta, ne hanno catturati trecento vicino a Fonte Corniale.
Si andava per granchi soprattutto per la ricorrenza del primo Maggio. In questo giorno si usava cucinarli "in brodetto" o "arrosto segreto" con pangrattato, olio, aglio, prezzemolo. Ma c'era anche chi andava a venderli alla Fonte Pubblica, di fianco a Porta Maggiore a Mombaroccio. I granchi più belli costavano due soldi, i più piccoli invece un soldo.

 

Scuola Media di Mombaroccio


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 01.01.2001
    Ultima modifica: 17.11.2018

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