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La caccia ai primi dell’ottocento nella Fano pontificia

Bandi sulla caccia a Piobbico e a Fano dal XVI al XIX secolo


Un decreto del '500 emesso dai Brancaleoni di Piobbico evidenzia l'abbondanza e l'interesse per le specie che popolavano l'Appennino: "Nessuno ardisca in Montenerone e sue appendici pigliar caprioli nè cotornici, nè uccelli rapaci e cioè sparvieri, falconi, astori, terzuoli, sotto pena di dieci scudi per ciascun capriolo o uccello rapace, e di uno scudo per ciascuna cotornice" (MICHELINI TOCCI 1977).

Nel 1596 a Fano era stato emesso un bando che vietava di "andare a caccia nei campi". Con un altro bando si vietava la caccia alla lepre, ma solo ai forestieri.
Sempre a Fano da un bando del 22 aprile 1622: "Vedendosi la molta strage che si fa delle rondinelle, uccello domestico ch'aporta utile et salubrità col tenere netta et espurgata l'aria.... il molto illustre etc. luogotenente del Governatore etc. per rimediare a questo inconveniente per il presente pubblico bando ordina et prohibisce espressamente che niuna persona di qualsivoglia stato, grado et condittione ardisca pigliar con reti o in altro modo le dette rondini sotto pena in ogni caso di contravventione di scudi 25 per ciascuno e ciascuna volta di applicarsi per la metà alla Camera et l'altra all'esecutore et accusatore".
Nel 1623 mons. Governatore dietro istanze del Magistrato scrive a Roma "per ottenere licenza di mandare un bando rigoroso sopra l'occisione che si fa dei piccioni di Colombara da potere con un semplice testimonio condannare il Rio" (DELI 1989).

Nel 27 marzo 1787 il Card. Rezzonico Camerlingo emette un editto con cui nell'Umbria, Marca e Stato d'Urbino si proibisce la caccia delle Quaglie con le Reti (Sezione Archivio Storico. Fano, Bandi - Editti - Notificazioni, busta 13). Il divieto riguarda la caccia delle Quaglie nei seminati di grano, biade e nei prati riservati a fieno (erbe da falce) ed è giustificato dai danni causati agli agricoltori e ai proprietari dei terreni: "Per far preda di tali Volatili ha inventato l'avidità dei cacciatori alcune Reti chiamate Sopraerba, Assedi, Strascino, e Spanditora, che spiegandole sopra i Seminati, ed Erbe suddette, ove per naturale istinto sogliono le Quaglie trattenersi, mentre le muovono poi in replicati giri con forte dibattimento, viene non solo a restar depressa, ed ammaccata la tenera, ed eletta pianta del Grano, destinata al prezioso sostentamento dell'Uomo, e degli altri menzionati generi, ma talvolta rompendosi anche il nodo della medesima, non quindi più atta a produrre la Spiga, e a dare alcun frutto".
Il divieto riguarda oltre alla caccia con le reti, quella "coll'Archibugio, e Cani, o altro modo d'introdursi ne' Seminati suddetti, ed Erbe da falciarsi".
Il firmatario dell'Editto mostra una notevole lungimiranza (non acquisita ancora da tante persone della nostra epoca): "Assicurata con tali provvidenze la conservazione de' Seminati a Grani, Biade, Marzatelli, e delle Erbe da Falce, si è creduta molto vantaggiosa cosa provveder anche alla conservazione, e propagazione della specie delle Quaglie, che nella Primavera, come gli altri Volatili, nidificando, somministrano poi una maggior abbondanza nelle susseguenti stagioni dell'Estate, ed Autunno a comun vantaggio de' Popoli".
L'editto estende il divieto per tutta la primavera alle Spiagge del litorale Adriatico in quanto la proibizione fatta con due precedenti editti "di simil genere di caccia per queste spiaggie del Mediterraneo si è riconosciuta molto utile, e proficua."

Nel dicembre 1825 il Delegato Apostolico della Provincia di Urbino, e Pesaro Benedetto Capelletti emette la seguente notificazione (conservata presso la Sezione dell' Archivio di Stato di Fano, Archivio storico comunale, 1825, titolo XVI, busta 174): " Ad onta delle provvide leggi, che in ogni tempo hanno vietato la sfrenata licenza di recarsi alla caccia di Quadrupedi, e Volatili in circostanza che il suolo è coperto di neve, poichè da così fatto arbitrio ne deriva con grande pubblico danno, la quasi distruzione della specie degli animali suddetti, che in causa della neve costretti a riunirsi in angusto sito non possono scampare alle ricerche, ed alle tracce degli avidi cacciatori, pure in questa nostra provincia rimane interamente inosservato un sì saggio divieto. Dappresso pertanto li molti reclami pervenuti in proposito, l'Eminentiss. Sig. Cardinal Camerlengo con venerato dispaccio......ci ha benignamente autorizzato a provedere a questo disordine; Quindi è, che in suo nome determiniamo quanto segue....Niuna persona in avvenire di qualsivoglia stato, grado, e condizione ardisca sotto qualsivoglia pretesto causa o quesito colore ucellare, e cacciare con cani, reti, archibugi, lacci, e qualunque altro istromento da caccia, ed atto a prendere od uccidere Lepri, Starne, Pernici, ed altri animali in luogo alcuno di questa Delegazione, finchè il suolo è coperto di neve, o tante volte dileguandosi tornerà questa a cadere."

L'articolo 13 delle R.R. Patenti Sarde, estese alle Marche con decreto Valerio nel 1860, vieta la caccia di notte da un'ora dopo il tramonto ad un'ora prima del levar del sole.
Un articolo apparso su "Il Gazzettino" del 1 gennaio 1913, commentando le contravvenzioni elevate ad alcuni cacciatori di anitre sorpresi a cacciare di notte sulla riva sinistra del Metauro; riporta che "Da tempo immemorabile nel nostro territorio specialmente alle foci del Metauro si è esercitata la caccia delle anitre, e a nessuno è venuto mai in capo d'impedirla, sebbene notoriamente essa si eserciti di notte" e che "in sessantadue anni la caccia notturna alle anitre selvatiche fu costantemente e pubblicamente esercitata sotto il regime delle R.R. patenti".

Si ringrazia il Sig. Paolo Volpini per il lavoro di reperimento di documenti.

Autorizzazione dell'Archivio di Stato di Pesaro n.82 del 16-11-1998


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 03.11.2005
    Ultima modifica: 03.11.2010

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