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Origine delle forre di S. Lazzaro

La Forra di S. Lazzaro di Fossombrone (geomorfologia)


Lungo il tratto vallivo compreso fra Calmazzo e Fossombrone, il F. Metauro taglia trasversalmente la dorsale dei Monti della Cesana, costituita da rocce calcareo-selcifere e calcareo marnose di età giurassico superiore-eocenica (formazioni della Maiolica, Marne a Fucoidi, Scaglia Bianca e Scaglia Rossa). Il fondovalle del tratto vallivo considerato è occupato da una piana alluvionale relitta, relativamente ampia e pensile sull'alveo attivo (terrazzo con deposito del Pleistocene superiore). Il corso attuale del Metauro si trova quindi più o meno infossato entro questa piana, dalla quale è separato da ripide scarpate di altezza variabile da 5-6 m a oltre 25 m.

All'altezza di S. Lazzaro di Fossombrone, nel tratto in cui il corso fluviale incontra i calcari selciferi biancastri della formazione della Maiolica, particolarmente resistenti all'erosione, le scarpate si avvicinano notevolmente e la loro altezza raggiunge quasi i 30 m. Il Metauro inizia qui a percorrere per circa 500 m una stretta e suggestiva forra dalle pareti strapiombanti, la cui ampiezza al livello del fiume non supera i 13,5 m; le acque sono piuttosto profonde, con punte massime superiori ai 17 m. La forra è attraversata dal Ponte dei Saltelli o di Diocleziano, che permette una suggestiva visione dall'alto sia della stessa che delle caratteristiche marmitte dei giganti in sponda sinistra.

Le marmitte dei giganti

Le pareti della forra incisa nei pressi di S. Lazzaro di Fossombrone dal F. Metauro nei calcari selciferi della formazione della Maiolica presentano splendidi esempi di particolari forme d'erosione fluviale, le cosiddette "marmitte dei giganti". Queste forme, dette anche caldaie, caldaie di evorsione o semplicemente marmitte, sono state prodotte dall'erosione vorticosa (evorsione) della corrente. Si tratta di cavità tipicamente subcilindriche, ad asse subverticale o debolmente inclinato sopracorrente, di diametro e profondità variabili da pochi centimetri a diversi metri. Le marmitte sono la forma dominante dell'erosione fluviale in alvei molto stretti e in presenza di flussi idrici anche occasionali, ma molto veloci e turbolenti. Il moto vorticoso dell'acqua a contatto col fondo o con le pareti dei canali fluviali fa roteare piccoli ciottoli che esercitano azione abrasiva; l'insistere di vortici in uno stesso punto può creare piccole concavità, che vanno a formare gli embrioni delle marmitte, all'interno dei quali possono venire intrappolati dei ciottoli. Questi, roteando spinti dal moto vorticoso della corrente, strisciano e urtano contro le pareti delle concavità e, accentuando così l'azione di trapanazione, vanno a incrementare via via le dimensioni della marmitta stessa. Il processo prosegue fino a quando la forma si estingue, con l'apertura di varchi nelle pareti o per un eccessivo approfondimento che intrappolando troppi ciottoli e/o ciottoli troppo pesanti, le pavimenta rendendo inefficace l'azione evorsiva. Non sempre l'erosione è in grado di produrre marmitte, ma spesso produce concavità e solchi di varia forma e dimensioni, che si associano generalmente alle marmitte vere e proprie.

Nel caso della forra di S. Lazzaro, le marmitte sono particolarmente ben sviluppate sotto il ponte dei Saltelli o di Diocleziano, dove si sono potute produrre e preservare grazie alla notevole durezza dei calcari della Maiolica e all'alta velocità e turbolenza della corrente durante le fasi di piena. Sulla sponda sinistra si osservano quattro marmitte maggiori caratterizzate da diametro che raggiunge i 3 m; leggermente più a monte compaiono varie forme minori di diametro inferiore al metro. Tutte queste forme giacciono in prossimità del livello del fiume e sono da considerare attive o, al massimo quiescenti. A quote più elevate, sulle pareti della forra si osservano numerose concavità ad asse verticale, che possono essere almeno in parte considerate come "paleomarmitte", quasi completamente smantellate dal progredire dell'erosione fluviale.
Le forme delle marmitte, anche durante le fasi iniziali del loro sviluppo, possono essere singole o raggruppate e, spesso, più marmitte si fondono fra loro. Nella forra di S. Lazzaro si osservano quasi ovunque forme minori, non ancora completamente sviluppate, di marmitte; gli esempi più numerosi e significativi e più facilmente raggiungibili, si trovano all'imbocco della gola, a monte del ponte di Diocleziano.

Durante le fasi di magra il Metauro scorre molto lentamente lungo la forra, dando quasi l’impressione di essere incapace di modellare ulteriormente il canyon. Durante le piene, invece, il livello dell’acqua aumenta talvolta anche di oltre 10 m e la corrente si fa impetuosa: è proprio in queste fasi che il Metauro esprime tutta la sua irruenza e forza erosiva, dimostrando coll’intenso mulinare dei vortici, spumeggiare e rimontare di grandi onde che la forra è viva e viene tuttora attivamente erosa.

La forra sepolta

Durante i lavori di costruzione della diga di S. Lazzaro, in occasione dello scavo della galleria di derivazione, fu messa per la prima volta in evidenza la presenza di una forra sepolta da alluvioni del Metauro e detriti di versante, successivamente riconosciuta anche con indagini geofisiche e geomorfologiche. Lo scavo della galleria di derivazione fu iniziato nelle rocce della formazione delle Marne a Fucoidi, ma dopo appena 132 m incontrò terreni sabbiosi incoerenti, poggianti sui calcari della Maiolica. Verso l’alto, le sabbie passavano a termini prima argillosi e quindi ghiaiosi. Data la presenza della conoide alluvionale del Fosso di S. Lazzaro, ben visibile in superficie, si ritenne in un primo tempo che lo scavo avesse incontrato la base dei depositi della stessa e i lavori proseguirono con l’intento di oltrepassarla. Lo scavo incontrò tuttavia difficoltà sempre crescenti, dovute soprattutto al progressivo aumento delle infiltrazioni d’acqua che rendevano particolarmente incoerenti e franosi i terreni. Superata l’estensione superficiale della conoide, le ghiaie non scomparivano, ma proseguivano sconfessando perciò l’ipotesi che si trattasse di depositi della conoide. I lavori di scavo vennero pertanto sospesi e furono eseguiti 14 sondaggi di superficie allo scopo di valutare estensione e natura dell’accumulo ghiaioso.
Il risultato fu la scoperta di una profonda e stretta depressione che, colmata di ghiaie, sabbie e argille fluviali e ricoperta da detriti di versante, si estende per quasi tre km da S. Lazzaro (loc. Acquasanta) a Fossombrone (loc. Fonte dei Mogi) correndo circa parallelamente alla base del versante sinistro. Questa depressione non è quindi altro che uno stretto e profondo alveo sepolto, con caratteristiche analoghe a quelle dell’attuale solco di fondovalle, incassato all’interno della superficie del terrazzo del Pleistocene superiore. A differenza dell’alveo attuale presenta tuttavia un’ansa con concavità rivolta verso sud, perfettamente corrispondente all’arcuatura del versante meridionale dei M. della Cesana, ma opposto rispetto all’ansa attuale, caratterizzato da concavità verso Nord.


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 21.02.2004
    Ultima modifica: 21.06.2012

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