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ASSETTO URBANISTICO DELLA COSTA DI FANO, di Massimo La Perna


Versione digitale del testo: LA PERNA M., 1998 - L'assetto urbanistico della costa. In: TOSI E. (a cura di) - La situazione ambientale del Comune di Fano. Ed. Associazione Naturalistica Argonauta, Fano.

Le rilevazioni sullo stato delle coste italiane svolte dal veliero Oloferne del WWF nel 1995 e nel 1996, hanno constatato che la costa adriatica è continuativamente edificata per un 59% del suo sviluppo; appena un 8% risulta completamente libero da edificazioni, mentre un altro 8%, pure libero da insediamenti, è tuttavia attraversato ed alterato da strade e ferrovie.

La visione dal mare permette di cogliere simultaneamente tutte le parti di territorio che secondo il Piano Paesistico Ambientale Regionale delle Marche costituiscono i "litorali marini", ossia: spiagge, retrospiagge, versanti collinari fino ai loro crinali, pianure alluvionali costiere comprese tra le spiagge e gli allineamenti dei crinali collinari retrostanti, tra i quali si inseriscono i corsi d'acqua da cui le pianure alluvionali sono determinate.

 

Quella che i naviganti sull'Oloferne hanno visto (e chiunque altro che incroci a sufficiente distanza dalla costa adriatica, vedrebbe) è il risultato finale, per ora, del processo di trasformazione che si è svolto in un arco temporale poco più lungo di un secolo, a partire dall'epoca dell'unificazione del Paese nello stato sabaudo.

In realtà, alcune delle cause di questo fenomeno hanno preceduto l'unificazione (la correzione del carattere paludoso e della conseguente insalubrità di molte coste basse), altre la hanno seguita (la fine della pirateria nel Mediterraneo, con la colonizzazione francese nel Nordafrica, l'invenzione e il successivo sviluppo del turismo balneare, ecc.), ma almeno una, e proprio quella scatenante, ha coinciso temporalmente con l'unificazione: la realizzazione dei primi tronchi della rete ferroviaria nazionale lungo le coste del medio e basso Adriatico e dell'alto e medio Tirreno, che offrivano, più dei territori dell'entroterra, allineamenti a quota altimetrica costante nella direzione nord-sud.

 

In particolare, la Bologna-Brindisi aperta nei primi anni dello Stato unitario, a Sud di Rimini viaggia a pochi metri dalla battigia per 400 dei 550 km del suo sviluppo. Queste ferrovie hanno fortemente influenzato una tendenza migratoria dalle campagne e (un po' meno) dalle città dell'entroterra verso le città della costa le quali, per lo più, si sono ampliate a semicerchio intorno ai vecchi nuclei serviti da stazioni provvisorie.

 

Le loro estensioni lungo l'asse parallelo alla costa, pertanto, hanno avuto crescite almeno doppie di quelle nella direzione dell'entroterra.

 

Sorvolando sui primi cento anni di questa evoluzione e affrontandone la storia più recente, si deve ricordare che, secondo la Prima Relazione sulla situazione Ambientale del Paese (1973), verso il 1960 la costa marchigiano-romagnola risultava edificata, oltre che in corrispondenza dei singoli centri urbani, nelle fasce Rimini-Riccione e Falconara-Ancona (per estensioni litoranee di una decina di km in ciascuna di esse); dieci anni più tardi, al momento della Relazione, l'estensione della prima fascia si era più che raddoppiata, fino a Cesenatico, ed alla seconda fascia si era affiancata a Sud del Conero un'altra conurbazione; ambedue gli ampliamenti erano evidentemente da connettere con lo sviluppo del turismo, ma anche ad un importante cambiamento, intervenuto negli anni '60, per i fattori che condizionano le scelte insediative.

 

In particolare, le linee ferroviarie, (che, secondo la stessa Relazione del 1973, percorrono circa 2500 dei 3000 km delle coste della penisola) valorizzano il territorio circostante solo in corrispondenza delle stazioni, e ciò ha determinato questo sviluppo "per punti" dell'insediamento costiero che prevaleva nelle osservazioni fatte fino all'inizio degli anni '60; non a caso, le fasce continuativamente urbanizzate allora riscontrate tra Rimini e Riccione e tra Falconara e Ancona includono, rispettivamente, 3 e 4 stazioni ferroviarie.

 

Nel decennio successivo, invece, lo sviluppo della motorizzazione privata ha fatto passare alla strada quella capacità di influenzare le scelte insediative che fino ad allora era stata della ferrovia.

 

Completata dopo la ferrovia Bologna-Brindisi, la Strada Statale n. 16 Adriatica ha tenuto conto della nuova geografia urbana che la stessa ferrovia stava già determinando lungo la costa romagnolo-marchigiana e, concepita con la stessa logica di minimizzazione dei costi, ha avuto un tracciato praticamente coincidente con quello della ferrovia. Ma, poiché la strada valorizza in modo continuo tutti i luoghi che attraversa e non solo pochi punti privilegiati, il paesaggio costiero si è, da allora, sempre più caratterizzato per continuità delle urbanizzazioni, fino alla condizione dì prevalente continuità edificatoria osservata dall'Oloferne.

 

Divagando per un istante dal tema delle coste, possiamo qui osservare che la strada statale, valorizzando tutto il territorio circostante, ha anche creato una premessa per la sua inefficienza poiché (mancando normative urbanistiche adeguate ed essendo approssimativamente applicate anche quelle esistenti) ha fatto addensare gli insediamenti lungo i suoi margini e i traffici, da questi generati, ostacolano i deflussi di più lungo percorso.

 

E, quando il problema è diventato ineludibile, era ormai troppo tardi per modificare gli insediamenti; il superamento delle inefficienze è stato quindi perseguito con la costruzione di sedi stradali alternative, con costi notevoli ed anche con risultati cattivi, in tutti i casi in cui le sedi alternative nascevano anch'esse a ridosso di insediamenti, oppure si è lasciato che altri insediamenti le raggiungessero.

 

La cartografia in scala 1:10.000, edita nel 1991 dalla Regione Marche, permette di verificare e di articolare la valutazione sintetica dell'Oloferne.

 

In particolare, tra il Conca ed il Cesano, il profilo litoraneo è ancora relativamente libero da edificazioni solo nei tratti di collina litoranea più scoscesa (S.Bartolo, Ardizio) e per un paio di km tra Fosso Sejore (dove sono state edificate anche parti elevate, per insediamenti "satelliti" del centro di Pesaro) ed il quartiere Gimarra di Fano. Da qui al confine meridionale di provincia, a monte o a valle della ferrovia e della SS 16, l'edificazione ha solo qualche rarefazione a Metaurilia e fra Torrette e Ponte Sasso, in un tratto a forte erosione della spiaggia; continua poi oltre il Cesano con le frazioni settentrionali di Senigallia. E ciò è avvenuto non per anarchiche iniziative della speculazione fondiaria (o non solo per queste), ma per deliberate, e legittime, scelte urbanistiche delle amministrazioni locali.

 

Per quanto riguarda il territorio di Fano, il primo Piano Regolatore comunale per offrire al turismo insediamenti non alberghieri defilati rispetto alle linee di traffico intercomunale e dotati di qualche apertura panoramica sul mare e sulla collina, prevedeva una edificazione quasi continua, e per profondità dell'ordine di 100 m, ad un'altitudine fra 20 e 100 m s.l.m., sulla fascia di collina litoranea a nord di Fano entro circa 500 m a monte della Strada e della Ferrovia adriatiche tra Fosso Seiore e Gimarra. Nè la proprietà fondiaria locale, nè le imprese del turismo o dell'edilizia, sembrano aver riconosciuto validità economica a questa prospettiva che è rimasta inattuata, mentre gli investimenti si sono concentrati sulle aree di immediato retrospiaggia, quando non addirittura sugli arenili tra il porto di Fano e la foce del Cesano; alcuni "prodotti" di questa urbanistica sul viale Adriatico a Fano sono anche catalogati in indagini di dimensione nazionale sullo stato di alterazione delle coste.

 

Il Piano Regolatore aveva previsto inoltre di destinare una decina di ettari, tra spiaggia e ferrovia, dagli Orti Garibaldi alla foce del Metauro, ad edilizia alberghiera, ed altri tre ettari circa ad edilizia turistico-residenziale. Di quella fascia sublitoranea sono state poi utilizzate parti diverse da quelle indicate dal Piano, per una decina di ettari, ma solo un paio di ettari per un albergo con camping, ed il resto per abitazioni, in gran parte ad uso non stagionale ma permanente.

 

E l'ultima variante di PRG per questa zona è stata ampiamente modificata dal Consiglio Comunale in accoglimento di osservazioni presentate da proprietari di immobili che chiedevano "completamenti edilizi" in luogo di destinazioni a verde "a servizio della baineazione".

 

A Sud della foce del Metauro, il primo Piano Regolatore aveva finito per programmare, seppure con riserve del progettista, estese edificazioni tra la ferrovia e la spiaggia; nella fase attuativa dello stesso Piano, e nelle successive varianti, quelle edificazioni sono diventate in buona parte, da estensive, intensive, ed hanno imposto allo scenario litoraneo caratteri che sono tipici delle peggiori periferie metropolitane.

 

Presentate sempre come "valorizzazioni" delle risorse ambientali nell'economia turistica, queste scelte urbanistiche hanno finito per azzerare l'attrattiva turistica degli ambiti di applicazione, ai quali resta ancora una qualche "vendibilità" solo in segmenti di mercato con bassa capacità di spesa, anche perché le edificazioni hanno impedito di recuperare a monte le superfici libere che erano sottratte a valle dai variabili fenomeni di naturale rimodellamento degli arenili e, per far sopravvivere in qualche modo tutte le attività turistiche in essere, si è intervenuti con scogliere di protezione che, ovunque applicate, hanno definitivamente ridimensionato la "disponibilità a pagare" dei potenziali turisti.

 

Il problema che ora si pone è quello di come restituire competitività turistica a quegli ambienti, ben sapendo che alla base della domanda turistica c'è l'aspirazione a fruire, almeno per pochi giorni all'anno, di condizioni ambientali che non sono realizzabili nei luoghi di residenza abituale.

 

La domanda turistica, quindi, sebbene condizionata anche da mode culturali, da limiti della capacità di spesa, ecc., è funzione delle qualità ambientali offerte nelle diverse località, e la proprietà immobiliare dovrebbe essere il soggetto più decisamente interessato a qualificare adeguatamente il proprio territorio ma (ad ulteriore dimostrazione di quanto poco la mentalità imprenditoriale sia sufficiente per la più proficua amministrazione delle risorse di cui disponiamo) non sembra porsi altro obiettivo che quello di azzerare ogni differenza tra la condizione metropolitana e quella (naturale o artificiale) degli ambienti nei quali ha titolarità.

 

E in occasione delle ricorrenti crisi del turismo locale, si è spesso provveduto a consentire maggiori edificazioni litoranee, anche in deroga alle normative già in vigore. Il Piano Paesistico Ambientale Regionale delle Marche prevede per il litorale della Provincia di Pesaro e Urbino:

 

  1. manutenzioni delle opere esistenti e nuove opere solo se attinenti al regime idraulico ed agli attraversamenti di strade e di infrastrutture esistenti:
    • nei versanti a mare del Colle S.Bartolo (da Gabicce a Pesaro) e delle colline litoranee da Pesaro alla foce dell'Arzilla (incluso il quartiere di Gimarra);
    • per circa 20 ettari intorno al Poligono delle Brecce, anche a monte della SS 16;
    • per circa 150 ettari dalla foce del Metauro (10-20 ettari anche sulla riva sinistra) a Torrette, tra mare e SS 16, e per circa 5 ettari a Sud di Torrette;
    • per circa 400 ettari a monte dell'A 14 tra il Rio Crinaccio e la SS 424 (Pergolese);
    • tra mare e SS 16 per qualche decina di ettari alla foce del Cesano.
  2. solo riqualificazioni urbanistiche e servizi pubblici ricreativi (con divieto di piscine), su tutti gli altri tratti di litorale per una profondità di 300 m.
Tuttavia, il "trascinamento" dei preesistenti strumenti urbanistici ha continuato a consentire edificazioni, completamenti, ecc. Per tutta la Regione il PPAR prescrive inoltre che le "strutture per la balneazione" (volgarmente: stabilimenti) siano costituite da "strutture leggere e smontabili, comprese le pavimentazioni". Carattere permanente è consentito solo per "i nuclei destinati a servizi", dei quali, però, non si indicano criteri di identificazione rispetto alle altre parti degli stabilimenti, per cui sono sempre più diffusi i capanni e le cabine in cemento armato, seppure composti con elementi prefabbricati (teoricamente smontabili come le dismesse strutture in legno), basate però su piattaforme "colate in opera" e radicate al suolo con pali di fondazione, pure in cemento armato.

 

Una effettiva riqualificazione complessiva dei litorali tra Fosso Sejore e il Cesano richiederebbe estese demolizioni, politicamente ed economicamente improponibili, ma si deve riconoscere che, anche in totale assenza di edificazioni, la qualità turistica di quei litorali sarebbe stata comunque pesantemente compromessa dalla presenza della ferrovia nell'immediato retrospiaggia, con danno anche per l'accessibilità alle spiagge ed al mare, a partire dalla viabilità principale.

 

Anzi, l'effetto negativo delle edificazioni è esaltato dal fatto che queste saturano spazi dei quali è percepibile l'angustia, tra una battigia sempre più arretrata ed un invalicabile recinto ferroviario; senza la ferrovia, ampie superfici immediatamente a monte di essa potrebbero essere integrate ai retrospiaggia, in un sistema di spazi in qualche modo attrezzati al servizio della balneazione, con recupero di vivibilità per i turisti, comunque insediati.

 

L'arretramento di ferrovie litoranee ha avuto qualche precedente, in Italia, almeno in occasione del raddoppio della linea Genova-Ventimiglia, negli anni '70. Nel caso adriatico, l'operazione potrebbe essere collegata ad una futura estensione, su questo versante, del "quadruplicamento" connesso con l'introduzione dell'alta velocità (purché secondo criteri e modelli "sostenibili", che l'amministrazione Necci aveva invece scartato), senza la quale il Corridoio Adriatico non avrebbe il carattere ampiamente intermodale che, per esso, si invoca.

 

La qualità (intesa nei termini prima precisati) dell'offerta turistica locale risulterebbe poco meno che miracolata da un trasferimento della ferrovia dall'attuale sedime ad altro più a monte (verosimilmente entro le fasce di rispetto ai lati dell'autostrada A14), operazione tecnicamente non difficilissima, almeno tra Pesaro e la foce del Potenza; ma, nell'immediato, ne risulterebbe soprattutto valorizzato tutto il patrimonio edilizio improvvidamente realizzato finora lungo i binari.

 

L'operazione, quindi, può essere considerata anche politicamente proponibile alla condizione che qualche meccanismo amministrativo (per esempio una riedizione dei soppressi "contributi di miglioria") possa assicurarne il finanziamento (a parte l'introduzione dell'alta velocità) a carico esclusivo delle migliaia di unità immobiliari, residenziali ed alberghiere ma anche di altro tipo se comunque suscettibili di riconversioni residenziali e commerciali, che sarebbero valorizzate dall'intervento.

 

L'attuale sedime ferroviario potrebbe essere utilizzato per un sistema di trasporto pubblico locale (con fermate distanziate di 0,5 - 1 km) a trazione elettrica ma su gomma e, quindi, senza interdizioni di attraversamento e senza la necessità di correre su rilevati. Un sistema su gomma potrebbe anche, in alcuni tratti, abbandonare la sua sede esclusiva ed utilizzare la rete viaria ordinaria, a servire meglio determinati insediamenti ed a permettere la completa soppressione di alcuni tratti del sedime ferroviario, in modo da accrescere le continuità territoriali fino al mare, o migliorare la fruibilità di spazi e strutture esistenti. Ad esempio, un recupero dell'attuale sedime ferroviario sotto le mura di Fano aprirebbe possibilità di valorizzazione delle mura stesse, che, allo stato attuale, è perfino difficile immaginare.

 

Altre condizioni sono da esigere per la proponibilità politica di un arretramento della ferrovia adriatica, almeno dal nostro litorale, ed almeno una consiste nell'esistenza di vincoli finalmente efficaci contro ulteriori sviluppi edilizi litoranei i quali, incoraggiati dalla migliorata qualità ambientale, potrebbero riprodurre nel futuro la stessa dinamica di sviluppo con la quale, in passato, la stessa qualità avevano peggiorato.

 

Una limitazione dell'edificabilità, peraltro, non va vista come esigenza per le sole fasce di retrospiaggia, ma deve interessare i comuni litoranei per tutta la loro estensione, se si vuole ostacolare il processo di "slittamento" di popolazione da monte a valle del territorio provinciale che a suo tempo era stato innescato, come in precedenza esposto, proprio dall'apertura della ferrovia adriatica.

 

Da allora, la popolazione dei quattro comuni litoranei della Provincia di Pesaro e Urbino è cresciuta del 217%, e quella degli oltre 60 comuni dell'entroterra è aumentata solo del 15,6 % (il). A partire dal 1967, data di riferimento di tutta la presente raccolta di contributi, e fino al '95, per il quale sono pubblicati i dati comunali più recenti, le variazioni per i due gruppi dì comuni sono, rispettivamente: 18% e -0,6%. Quel 18%, disaggregato per i 4 comuni, diventa 20% per Fano, 15% per Gabicce, 70% per Mondolfo, e soltanto 12% per Pesaro, dove un avveduto Piano Urbanistico intercomunale ha saputo contenere, negli anni '70 ed '80, la crescita del capoluogo, a beneficio dei comuni immediatamente retrostanti, almeno fino a Colbordolo. E i comuni costieri, pur includendo solo un 10% del territorio provinciale, al censimento del '91(13) possedevano il 44% del patrimonio abitativo (occupato e non).

 

Tra '91 e '95, poi, le edificazioni in questi comuni hanno costituito il 54% delle edificazioni nella provincia. Sul litorale, quindi, l'edilizia ha sempre "una marcia in più", perché la prospettiva di future immigrazioni e di conseguenti valorizzazioni degli immobili vi spinge ad investire "nel mattone" anche i risparmiatori dell'entroterra, ed anche se i prezzi d'acquisto sono relativamente alti. La produzione edilizia, quindi, si stratifica, anno dopo anno, nei comuni litoranei, anche nelle forme che abbiamo prima tratteggiato ben al di là del reale fabbisogno della popolazione residente.

 

I trasferimenti effettivi di famiglie non sono molto frequenti: spesso sono sostituiti da pendolarità anche pesanti di alcuni tra i membri attivi, per mantenere unite famiglie (anche "patriarcali") in cui più membri lavorano, e in comuni diversi, o in cui i membri più anziani (che può essere necessario assistere o di cui può essere necessario l'aiuto per l'assistenza dei membri più giovani) non sono disposti a trasferirsi; ma, se al naturale estinguersi di alcuni vincoli si aggiungerà un perdurante calo delle attività nell'entroterra, la migrazione non potrà che intensificarsi e lo farà in modo progressivamente accelerato, perché più gente se ne andrà dall'entroterra, meno motivi di permanenza sussisteranno per chi è rimasto.

 

La pressione migratoria sui comuni costieri potrà giungere, al limite, a farvi raddoppiare la popolazione e le conseguenze, anche su spiagge, retrospiagge, versanti collinari litoranei, pianure alluvionali costiere, non sono difficili da immaginare.

 


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 01.01.1999
    Ultima modifica: 01.03.2011

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