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L'AGRICOLTURA NEL TERRITORIO DI FANO, di Fabrizio Franca


Versione digitale del lavoro: FRANCA F., 1998 - Aspetti evolutivi della qualità ambientale dell'agricoltura nel territorio fanese. In: TOSI E. (a cura di) - La situazione ambientale del Comune di Fano. Ed. Associazione Naturalistica Argonauta, Fano.

Aspetti evolutivi della qualità ambientale dell'agricoltura nel territorio fanese

L'ambiente agrario del comprensorio fanese negli ultimi 30 - 50 anni ha subito forti modificazioni: le più macroscopiche particolarmente nella fascia costiera e suburbana ove l'agricoltura (e l'orticoltura) che la caratterizzavano (basti pensare a ciò che era la "bonifica della Metaurilia" ed al territorio attorno a Fano fino ed oltre Bellocchi) è stata praticamente soppiantata per utilizzi delle aree, prevalentemente di tipo residenziale, turistico e/o artigianale e commerciale.

L'originaria caratteristica dell'ambiente rurale attorno a Fano sopravvive solo ed in parte, nell'area del Campo d'Aviazione, in molte delle terre pubbliche comunali e nelle zone situate in prossimità del fiume, mentre nelle colline il carattere agricolo del territorio si mantiene quasi ovunque.

Le colture orticole si sono trasferite dai terreni a ridosso della costa verso zone più interne ove l'ausilio della tecnica ha sopperito all'iniziale carenza, fra gli agricoltori di queste zone, di una più radicata tradizione orticola. Nello stesso tempo si è assistito ad una forte trasformazione, nelle aziende, degli ordinamenti produttivi da cui è stata praticamente eliminata la zootecnia, sostituendo i tradizionali "larghi avvicendamenti colturali" di 6 - 7 anni con più brevi turnazioni delle colture fino a quelle biennali. Si è ovunque diffusa la meccanizzazione delle lavorazioni; si è ridotto l'impiego di mano d'opera (divenuta più anziana, praticamente in assenza di turn-over e con un forte ridimensionamento del numero degli addetti).

Colture prevalenti sono divenute i cereali (grano duro più che tenero od orzo fra quelli vernini, mais e sorgo fra quelli estivi), la barbabietola da zucchero e, nelle colline, le colture ortive da seme; di recente, dopo un ultradecennale abbandono, è tornata a diffondersi la coltura dell'erba medica, non più però per allevamenti zootecnici locali ma per la mangimistica.

Stabili od in leggero incremento nel complesso sono le attività frutticole (vite ed ulivo in prevalenza) che comunque nel territorio non hanno mai avuto carattere di rilievo.

Una particolare menzione in proposito merita la quasi totale scomparsa delle alberature di mandorlo, sparse e lungo i filari di viti, che erano una delle caratteristiche della piana del Metauro.

Complessivamente la produttività agricola, espressa in quantità, è nettamente aumentata nonostante il calo degli addetti e la sottrazione delle migliori terre all'attività agricola per assecondare le esigenze di urbanizzazione e quindi di espansione della città.

Il progressivo ricorso alla chimica (per concimi ed antiparassitari), a cui si era assistito dagli anni '60 in poi e che ha visto il suo culmine alla fine degli anni '80, in quest'ultimo periodo si è di molto ridimensionato sia per il diffondersi di una nuova sensibilità rispetto ai connessi problemi di salute (per gli addetti come per i consumatori) sia per una più generale presa di coscienza delle problematiche di carattere ambientale; decisivo tuttavia in proposito si è dimostrato il mutato sistema dei sostegni e delle incentivazioni al reddito agricolo (non più commisurato in rapporto alle quantità prodotte ma alle superfici coltivate o messe a riposo) posto in essere dal 1992 con la riforma Mc. Sherry in tutti i Paesi dell'Unione Europea.

Resta tuttavia, dei comportamenti del trascorso periodo, la pesante eredità dell'alto tasso di nitrati (generalmente oltre i 50 milligrammi per litro, che rappresentano il limite di potabilità) nelle acque di falda e la presenza, pur se in tracce, di atrazina nelle zone a più intensa coltivazione di mais.

Nella parte collinare del territorio una particolare attenzione va dedicata all'emergenza frane, problema di recente impostosi all'attenzione generale e manifestatosi a seguito di alcune annate particolarmente piovose. Le premesse della franosità della nostre colline vanno ricercate (oltre che nell'orografia e nella natura geopedologica del territorio) in una poco attenta gestione dei suoli seguita alla diffusa meccanizzazione delle lavorazioni dei terreni, in una colpevole disattenzione al mantenimento delle tradizionali sistemazioni dei terreni e nell'aver trascurato la regimazione delle acque. La ripetizione con cadenza pressoché annuale delle arature su tutta la superficie e su pendici anche al limite della stessa incolumità degli operatori, la crescente profondità e l'esecuzione delle suddette arature spesso nel senso della massima pendenza, con l'aggiunta di sommarie affossature e l'eliminazione di gran parte delle siepi, non potevano che preludere e determinare gli eventi franosi ed i fenomeni di erosione a cui, impotenti, ora si sta assistendo.

Esaltando con le arature l'infiltrazione e lo scorrimento delle acque piovane in profondità, a livello della cosiddetta "suola di lavorazione" in zone a forte pendio, si sono create le condizioni per lo scivolamento a valle del terreno sovrastante e quindi il manifestarsi di fronti franosi.

E ciò anche per la concomitante azione di scalzamento alla base di scarpate, sempre provocato dalle arature che, in collina non possono che realizzarsi sospingendo il terreno verso valle.

Il riposo delle terre più scoscese (e forse meglio, l'interdizione delle lavorazioni sulle stesse aree), il ricorso alla "ripuntatura" in alternativa e come complemento di arature meno profonde (pratica questa che, pur se lentamente, si sta iniziando a diffondere) oltre alla ricostituzione delle siepi, rappresentano il miglior modo per recuperare una situazione per molti versi allarmante.

Da qualche tempo nell'agricoltura locale è in atto un significativo e positivo aspetto evolutivo verso la riqualificazione ambientale del territorio ed in direzione del ripristino di una condizione utile alla salvaguardia dei suoli da frane e da fenomeni di erosione: la reintroduzione di essenze forestali, anche se a ciclo breve, su terreni marginali ritirati dalla ordinaria coltivazione a seminativi.

Si tratta di piante quali noce e/o ciliegio per legname di pregio o di altre latifoglie. Questa pratica, non tanto estesa quanto sarebbe auspicabile, meglio se effettuata con piante non monospecifiche, certamente contribuirà alla ricostituzione di quegli habitat indispensabili alla vita di molte specie vegetali spontanee e di animali selvatici e favorirà la nascita di siti preposti al recupero, alla conservazione, alla stabilizzazione e alla salvaguardia dell'ecosistema.

Nella nostra agricoltura, l'evoluzione economica ha generato situazioni e realtà di gestione per molti aspetti valutabili negativamente e di cui non si intravede ancora il superamento: fra queste il diffuso ricorso, per le principali operazioni colturali, a prestazioni di terzisti. Operatori questi non direttamente interessati alla complessiva gestione delle aziende ove pure sono chiamati ad operare ma alla sola esecuzione - e nel più breve tempo possibile e nel modo meno costoso - dei lavori ad essi assegnati. Il ricorso alle loro prestazioni tende a generare disimpegno da parte dei proprietari dei fondi, scarso interesse alla qualità delle produzioni oltre che a gestioni delle aziende poco lungimiranti. Per il prossimo futuro, inoltre, si segnala come incombente il pericolo di un'ulteriore riduzione della biodiversità nelle coltivazioni, evenienza questa legata all'introduzione dagli Stati Uniti anche in Europa, e quindi inevitabilmente anche nel nostro territorio, di piante bioingegnerizzate: piante che certo si dimostreranno più produttive ma che, proprio per questo, sono destinate (nella migliore delle ipotesi) ad escludere dai nostri campi le tradizionali specie vegetali coltivate che sono patrimonio e parte della tradizione della nostra cultura e, in una meno felice prospettiva, potenziali causa con il loro utilizzo fors'anche di imprevedibili conseguenze per la salute. Infine, fra i cambiamenti intervenuti nel "paesaggio agrario" si evidenzia la progressiva scomparsa della tradizionale casa rurale, sempre splendidamente ed armonicamente inserita nel territorio: esistono frequenti esempi di adeguati recuperi e valorizzazione di questo patrimonio ma troppo spesso le vecchie,"belle" (mi sia consentita questa personale valutazione estetica) case coloniche, hanno dovuto far posto ad improbabili ed illogiche "case balconate" ed a più piani, trapiantate in campagna dalla più anonima delle periferie urbane e sconsideratamente inserite in un ambiente che loro non appartiene.

Nella sostanza si osserva che, grazie ad una più attenta legislazione, ad una recuperata nuova sensibilità degli agricoltori e della popolazione, oltre che per fatti connessi a situazioni di mercato, la qualità ambientale della nostra agricoltura, dopo decenni di un uso del territorio agricolo poco lungimirante (e talora sconsiderato) e scarsamente rispettoso della natura, dei suoi ritmi e dei suoi equilibri, sta mostrando incoraggianti segnali di miglioramento.

Certamente non tutte, o meglio solo in parte, e solo alcune delle negative situazioni riscontrate possono dirsi in via di superamento, mentre è sempre necessaria una vigile attenzione alle problematiche nuove che la tecnologia, il mercato ed i tempi non mancheranno di continuare a proporre.


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 01.01.1998
    Ultima modifica: 03.03.2011

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