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Feste e tradizioni religiose nella zona di Fossombrone

Feste e tradizioni religiose nella zona di Fano


Per una antropologia religiosa nel circondario di Fano

Il pericolo a cui si poteva andare incontro in una indagine sull'antropologia religiosa nel circondario di Fano era quello di fare una fredda raccolta di dati, informazioni, documenti senza "leggerli" con la stessa passione con cui viviamo l'oggi. E se è vero che "la memoria collettiva" è superiore a quella dell'individuo, anche perché questi nella realtà di oggi ricopre più ruoli, è altrettanto vero che l'uomo non può rinunciare alla "sua" memoria perché questa è garante del suo farsi storia dove la cultura proveniente dal passato è continuamente riversata nel presente.

Una cultura come quella dell'entroterra fanese che ha vissuto le mutazioni socioeconomiche tipiche di una società agricolo-artigianale che è passata a industriale e commerciale. Una società che vedeva l'uomo come interlocutore con il suo ambiente al punto da considerarsene parte integrante: le strade, le case, la gente, il campo costituivano un complesso di relazioni che lo legavano in un'unica armonia, in un ritmo integrato. Ritmo segnato da un tempo che scandisce i momenti di vita, i bisogni, il ripetersi circolare delle stagioni, l'alternarsi di lavoro e di festa: il tempo del vegetare, del fiorire, del maturare, del figliare, un tempo legato essenzialmente alla crescita produttiva.

Il contadino che era legato a questo tempo ha finito per identificare quest'ultimo con il sacro. E' avvenuta così una sacralizzazione della realtà materiale attraverso la quale egli si sentiva di partecipare al divino. Il contadino era naturalmente religioso: "ancorché stanco la sera recita il rosario e le preci per morti, l'Angelus e l'Ave Maria, accorre alle funzioni ecclesiastiche e si accalca nelle processioni e si rimette al volere di Dio anche nelle congiunture più gravi «farà Lui» dice e si rassegna". Ed anche nei gesti, nelle abitudini quotidiane il sacro trovava una sua rappresentazione in pratiche non ancora del tutto abbandonate: conservazione delle palme fino all'anno successivo, segno della croce sul pane e sul forno e prima di cominciare un lavoro, rami d'ulivo su croci di canna messe nei campi di grano non solo per invocare la protezione del cielo ma anche per preservare il raccolto da invidia e malocchio. La visione animistica della natura sacralizzava e santificava tutto ciò che sfuggiva al controllo e all'influsso dell'uomo: il cielo, la terra, la vita, la fertilità. Parlando del buon tempo si diceva ad esempio il tempo del Buon Dio. Il sacro è divenuto così una forma primaria in un senso culturale e sociale dell'esistenza umana. Traccia di ciò troviamo nelle feste di cui ora parleremo.

Lorenza Carboni e Giovanni Pelosi
Festa dell'Acqua Bona

Era una festa della campagna che si svolgeva in primavera quando i campi sono tutti in fiore e di conseguenza più vulnerabili a fattori atmosferici. Si teneva il 29 aprile a S. Andrea e a S. Cesareo, 8 giorni dopo l'ascensione a Magliano; in tale occasione si celebrava la S. Messa.

A S. Cesareo c'era il corteo con le croci e la benedizione delle palme. Le famiglie facevano una croce e la mettevano sulla vigna e sul grano; si mettevano anche croci di fiori nella strada.Ci si muoveva dalla chiesa per 200-300 metri ed ogni anno si sceglieva una zona diversa.

A Magliano cadeva quando il grano metteva la spiga. Tutti i preti della vicaria: Rosciano, Cuccurano, Bellocchi, S. Cesareo, Carignano (quest'ultima si è staccata ed unita a Fano) si riunivano per questa festa.

A S. Andrea la festa era preparata da una cerca; quattro parroci (S. Andrea, Trebbiantico, Novilara, Roncosambaccio) si riunivano a turno per le messe, confessioni, processioni e per benedire le campagne. Si faceva un chilometro di strada impartendo tre benedizioni: una all'arrivo sul posto in aperta campagna, l'altra a metà strada, l'ultima sulla porta della chiesa. A tali processioni partecipavano obbligatoriamente "gli incappucciati": uomini della Confraternita del SS. Sacramento (1) che vestivano l'abito caratteristico, costituito da un camice bianco con sul dietro un triangolo che serviva da cappuccio; sul davanti o sul braccio vi erano degli stemmi. Venivano pronunciate delle invocazioni che erano ripetizioni delle rogazioni (2) che si facevano tre giorni prima dell'Ascensione. Si pregava per tenere lontano fulmini e tempeste, terremoto, peste e fame, guerra, morte istantanea. Come frequenza la Festa dell'Acqua Bona era considerata di precetto, per cui non si lavorava in campagna. Ad eccezione di S. Andrea è scomparsa da una decina d'anni.

Lorenza Carboni e Giovanni Pelosi
Festa di Sant'Antonio Abate

Si teneva il 17 gennaio, era la festa tipica dei contadini e durava tre giorni. Si celebrava la S. Messa, non si svolgevano processioni, il prete si recava nelle aie dei contadini dove benediceva le stalle. Un tempo il parroco faceva preparare dei "bracciatelli" di pane rotondi con semi di anice che venivano distribuiti alle famiglie perché venissero intinti nel vino rosso e mangiati. Il parroco rilasciava anche un'immagine del Santo che veniva affissa nelle stalle e nelle case e ne riceveva un'elemosina in natura o in denaro.

A sera a Magliano e a S. Cesareo, dopo la benedizione, si organizzava una cena a cui partecipavano solo gli uomini, mentre le donne erano addette alle cucine. A S. Andrea e a Carignano invece ci si fermava per il pranzo. Tale cerimonia è rimasta ancora oggi anche se molto semplificata.

A Carignano un tempo vi era anche una banda che suonava nella piazza e i priori della Pia Unione di Sant'Antonio offrivano castagnole e vino; oggi vi è un'orchestrina che invita alle danze. Questo evento non conosce più quello stato di trepidazione ed emozione per cui i contadini la notte prima non dormivano pensando alla cerimonia del domani. Ai fedeli vengono distribuiti in chiesa i "panini" di S. Antonio da dare agli animali domestici.

La benedizione degli animali risale a circa due secoli fa, mentre nella nostra zona questa festa fu istituita nel 1913. L'animale che vediamo raffigurato accanto a S. Antonio nelle immagini sacre è il porco, non per una predilezione particolare verso questo, quanto perché esso è il simbolo di lussuria contro cui il Santo dovette combattere in vita.

Lorenza Carboni e Giovanni Pelosi
Festa del Maggino ed altre feste

A Magliano, al tempo in cui sorgeva una Chiesa dedicata a S. Francesco da Paola appartenente alla famiglia Rinalducci, nel mese di maggio si faceva una grande festa (detta "del Maggino") a cui partecipava gente venuta da fuori con le solite bancarelle che vendevano vino, brustoline, maritozzi e carrube. A sera una solenne benedizione chiudeva la festa. La Chiesa venne successivamente trasformata in un ripostiglio per uso agricolo e al suo posto è rimasta una edicola, meta di una processione che avveniva nella seconda domenica di maggio. La gente diceva che se non si portava la statua del santo fin laggiù avrebbe piovuto e fatto temporali perché riteneva che lì era nato.

A questa si aggiungevano le feste legate al Mese Mariano o al patrono, che ormai hanno perso la loro solennità anche se rimangono occasione per parlarne e per ricordare. Cosi la processione della Luca (presso S. Andrea), dove ogni anno tornano anche quelli che hanno trasferito la loro abitazione in città.

Anche la Festa di S. Andrea (30 Novembre) è ben lontana da quando la notte della vigilia arrivavano birocci carichi di castagne e compratori dalla città (3); in questa veglia oltre all'attività commerciale, ci si divertiva a giocare le castagne a tombola e a cantare.

Questi segni hanno perduto la loro autenticità perché insieme al modo di vedere la terra è cambiato quel rapporto tra il contadino e Dio, che avveniva tramite immagini e concrete esperienze: la messa e la liturgia erano viste come una continuazione della vita che è unica ed è fatta di gioia e di dolore, di amore e di morte.

Lorenza Carboni e Giovanni Pelosi
Periodo di carnevale

Anche nel periodo di Carnevale non si scorgeva immoralità alcuna nel fare la comunione e insieme la festa. Il Carnevale costituisce una valvola di sfogo: serve a mitigare il rigore di una società strutturata e a far valere in essa i valori di una comunità ugualitaria. La Chiesa ha sopportato il Carnevale che "è una festa laica con ascendenze prettamente pagane e ha cercato di limitarla nel tempo" (4).

L'editto del 24.1.1694 a cura del Cardinale Legato Astalli recita che "alcuno mascherato non possa entrare o uscire fuori dalle porte della città, che passata mezz'ora di notte alcuna persona non possa portare la maschera fuori di casa".

L'editto del 15.1.1823 a cura del Legato Apostolico Lodovico Gazzoli recita che "è accordato l'uso della maschera dal 16 gennaio a tutto l'1 febbraio e al suono delle 24 dovrà ciascuno immancabilmente levarsi la maschera dal viso sotto pena di essere arrestato e quindi essere sottoposto ad una multa di scudi 10. Nessuno ardisca far maschere con abiti e vestimenti che possano rappresentare ministri di culto, offendere le forme di governo, amici del regime e di sua Santità e dirette espressamente a satira o particolari ingiurie. Sotto pena di essere arrestato proibiamo qualunque ballo pubblico o festivo".

Anche se sin dal Concilio di Trento la Chiesa cerca di espellere, controllare, limitare il "ludico" nel quotidiano per salvaguardare l'autorità, non per questo nelle nostre campagne non veniva celebrato il Carnevale, che perdeva il suo aspetto pubblico per ridursi nell'ambito della casa. Più famiglie si riunivano nella stanza più calda: si provava il vino nuovo, si discuteva, si giocava a morra, si ballava e ci si concedeva delle licenze.

La Chiesa ha cercato di porre un freno e di trovare un'occasione di ravvedimento con l'istituzione delle "Quaranta Ore": negli ultimi tre giorni di Carnevale "quando la festa si faceva più intensa" si esponeva il SS. Sacramento. La chiesa si arricchiva di addobbi rossi come mai in altra circostanza e il SS. Sacramento era posto sopra un baldacchino illuminato da una grande quantità di candele.

Nel Giornale Istruttivo del Parroco di S. Anastasio di Roncosambaccio del 1732 si legge: " L'ultima domenica di carnevale non si tralasci di dare la benedizione, sia per tenere occupato in quel giorno alla santificazione della festa il popolo, il quale si trova ordinariamente tutto nelle proprie case, come per pregare il Signore Iddio che tenga la mano sopra i cattivi in quegli ultimi giorni di carnevale. Si ricordi il cappellano di far cenere delle bacchette di olivo benedette, riservate nella Domenica delle Palme a questo fine e le prepari la sera avanti col suo piattino sopra l'altare cornu epistolae, si spurghi il pulpito e si prepari la borsetta della questua e si mettano in Chiesa li quattro banchi per comodo degli uomini. La sera dell'ultimo di carnevale dopo il suono dell'Ave Maria a doppio breve si suoni la predica".

Ci accorgiamo a questo punto che se elementi del passato sono rimasti, lo sono in un contesto completamente trasformato, perché cambiato è il tessuto sociale, perché cambiato il rapporto del contadino con la terra, non più un tutt'uno con essa ma di sfruttamento.

Ormai le stesse occasioni di incontro, di discussione in campagna sono ridotte perché più facili sono gli spostamenti in città e si gravita verso i centri principali. La cultura popolare e festiva ritorna solo come espressione di organizzazioni politiche, circoscrizionali e turistiche che offrono occasione di pranzi e balli.

Lorenza Carboni e Giovanni Pelosi
Confraternite

Sono associazioni di laici guidate da un priore, ancora diffuse nelle varie parrocchie del circondario di Fano, che hanno per fine l'elevazione spirituale degli iscritti mediante pratiche di carità e di culto.

Già nei "Capitoli fatti tra il rev. D. Guerrini di Villa S. Cesareo del 1666" (5) si legge: "Di anno in anno si faccia il nuovo Priore con un compagno, i quali con carità debbano esercitare dett'Uffizio fedelmente fino all'anno a venire e poi render conto della loro amministrazione al nuovo Priore".

I fratelli delle compagnie avevano un loro statuto con obblighi morali e religiosi ed un bilancio, dovevano fissare dei turni per l'adorazione del SS. Sacramento ed andare per la questua per dare il ricavato ai più bisognosi della parrocchia.

Una iniziativa della confraternita, nata con essa, era il "Monte Frumentario", che aveva lo scopo di dare il grano in prestito ai bisognosi soprattutto in tempo di carestia.

Per i confratelli c'era l'obbligo di procurarsi l'abito caratteristico: la cappa, indossata in tutte le processioni, compresa quella di ogni terza domenica del mese, giorno dedicato "alla reverenza del SS. Sacramento". A conclusione si benediceva un cesto di pane bianco e se ne distribuiva un filone ciascuno: era questo un atto di devozione oltre che qualcosa di insolito per quei tempi pieni di miseria.

Le confraternite sono tuttora esistenti, anche se molto diverse dal passato. A S. Andrea, per esempio, la Confraternita del SS. Sacramento, degli uomini, si regge finanziariamente con il possesso di una casa, mentre quella dell'Addolorata, delle donne, si avvale dei doni delle consorelle più una quota annuale. Hanno anche oggi dei suffragi con modalità diverse da parrocchia a parrocchia, e sempre a S. Andrea, il numero delle messe in suffragio per i confratelli è di 30, mentre solo di 15 per le consorelle. La differenza è da cercare forse nel fatto che la Confraternita dell'Addolorata è più povera rispetto a quella degli uomini.

NOTE:
(1) Vedi scheda sulle confraternite.
(2) Le rogazioni erano preghiere solenni di popolo che un tempo venivano recitate in processioni penitenziali di propiziazione per il buon esito delle semine e dei raccolti, oggi scomparse con la riforma liturgica.
(3) S. Andrea e Magliano erano ricche di castagni e fornivano prima del 1940 legname per la costruzione di mobili.
(4) BONTEMPI 1981.
(5) Archivio Parrocchiale di S. Cesareo.

(Già pubblicato in DE MARCHI e altri 1991)

Lorenza Carboni e Giovanni Pelosi
La Festa di Santa Croce e le rogazioni

All'inizio di maggio si celebrava la Festa di Santa Croce e delle Rogazioni. Nel corso di una processione per le strade vicino alla chiesa il parroco benediceva le campagne a protezione dei raccolti.

Processioni straordinarie, con percorsi più lunghi, maggior numero di fedeli e particolare solennità si volgevano per impetrare la pioggia, in seguito a periodi di prolungata siccità.

In occasione della festa di Santa Croce, nei campi di grano prossimi a spigare venivano piantate alcune croci di canna con palme benedette infilate nelle tre estremità, a protezione del raccolto. Una di tali croci veniva infilata in vetta alla bica ("barca"), costruita sull'aia coi covoni, in attesa della trebbiatura.

Celso Mei
Benedizioni

Qualche giorno prima della festa di Sant'Antonio Abate, protettore degli animali domestici, il parroco passava a benedire le stalle.

Passava una seconda volta prima di Pasqua a benedire le case; bastava che benedicesse la cucina e le camere da letto perché tutta la casa fosse benedetta: si diceva infatti che "l'acqua santa passa sette muri". In tale occasione restavano benedette anche le uova sode lasciate in un cestino sul tavolo della cucina e destinate ad essere consumate il giorno di Pasqua. Le palme benedette e i gusci delle uova sode, come anche le immaginette dei santi che non si volevano conservare, non venivano gettati nella spazzatura: dovevano essere bruciati sul fuoco dell' arola.

Celso Mei
Sabato Santo

Il Sabato Santo, al momento in cui si "scioglievano" le campane, si usava purificarsi lavandosi, senza poi asciugarsi, la faccia con l'acqua di un fosso o di una pozzanghera, all'aperto.

Ancora al momento dello scioglimento delle campane, era usanza seminare gli ortaggi e mettere le uova gallate a incubare sotto la chioccia.

Celso Mei
Ciocco di Natale

La sera della vigilia di Natale veniva posto sull'arola un grosso ceppo d'albero o "ciocco di Natale", che veniva fatto bruciare fino dopo la mezzanotte (per scaldare Gesù Bambino). Il ciocco doveva essere fatto ardere per un po' ogni giorno fino a Capodanno, quando il tizzone spento che restava veniva collocato sulla biforcazione dei rami di un oppio (acero campestre) di un filare di viti, a protezione dei raccolti.

Celso Mei
Falò

La sera precedente alcune feste (Assunzione, Madonna di Cartoceto, Immacolata) nelle campagne della valle e delle colline circostanti venivano accesi grandi falò che illuminavano la notte. In segno di festa, coloro che possedevano fucili sparavano alcuni colpi in aria.

Un falò che si vedeva acceso in occasioni diverse dalle ricorrenze religiose poteva segnalare la morte di un familiare, del quale si bruciava il pagliericcio (di brattee di granoturco); falò di dimensioni impressionanti si sviluppavano quando andava a fuoco un pagliaio.

Celso Mei
Il mangiare a Natale e Pasqua

La vigilia di Natale, dopo il digiuno, era usanza mangiare una minestra di quadretti e ceci ("E' le diec: pastasciutta, minestra e cec").

La sera della vigilia di Natale i fidanzati si recavano a casa della fidanzata per "sciogliere la gluppa", cioè un fazzoletto annodato con dentro cose buone da mangiare, che avevano portato qualche giorno prima. Per molti anni la gluppa non conteneva che arance e castagne, al massimo fichi secchi. Dopo la prima guerra mondiale, gradualmente la gluppa venne sostituita da un pacco contenente dolciumi, torroni, liquori ("Strega", "Caffè Sport", "Mistrà").

Il giorno di Pasqua a pranzo, oltre alle uova benedette, era usanza mangiare la zuppa di fette di pane in brodo, aromatizzata con garofani e noce moscata; il secondo piatto era costituito da pasticciata o spezzatino di agnello in umido.

Celso Mei


Dettaglio scheda
  • Data di redazione: 01.01.2000
    Ultima modifica: 21.02.2005

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